Tantissimo si potrebbe dire (e si è detto, e si dirà) sull’esposizione di Palazzo Strozzi (e non solo) che celebra il più importante video-artista contemporaneo, mettendo in piena luce i proteiformi legami con la grande Storia dell’Arte e con la città di Firenze, evidenziando la sua attitudine a citare (termine da intendersi come l’inserire un elemento altro da sé in un proprio discorso, modificandolo ed arricchendolo di significati potenziali).
In queste poche righe si vuol porre attenzione, in merito alla suddetta mostra, al rapporto fra opera e tempo che essa propone. O meglio: al rapporto con il tempo che da sempre la ricerca artistica-antropologica di Bill Viola istituisce.
Bill Viola, sia detto per chi non lo conosce, lavora sulla dilatazione, sul rallentamento: possono durare molti minuti video-installazioni che presentano azioni le quali, se fossero riprodotte a velocità normale, prenderebbero una manciata di secondi. Dal punto di vista dello spettatore si tratta di un’esperienza affatto singolare: se da un lato aiuta a cogliere una quantità di dettagli che altrimenti andrebbero perduti, dall’altro può portare a emersione una soggettiva, concretissima difficoltà ad accordarsi a tale andatura.
Più in generale: come è noto, oggi l’arte ha perso in maniera irreversibile la posizione dominante, nell’universo della rappresentazione sensibile, che aveva occupato dal Rinascimento -appunto- fino alla fine del XIX secolo. Il suo posto attuale è quello dell’intercomunicazione circolare, in un continuum nel quale essa si inserisce per rottura, per differenziazione, nella catena indistinta dei segni che intride la società di massa. La comune radice delle immagini, artistiche e non, in cui tutti siamo immersi è l’esperienza del corpo, mediante la cui appropriazione simbolica, che comincia con il linguaggio e si prolunga nelle forme visive e nei suoni, noi umani raggiungiamo una matrice unitaria: prendendo come punto nodale di riferimento tale deposito di significati, le arti realizzano un processo continuo di elaborazione e trasmissione di immagini possibili o fittizie. Nella nuova frontiera tecnologica e artistica della nostra società, l’interrogare la forma visiva, come da decenni con rigoroso intuito fa Bill Viola, risulta più vivo e necessario che mai: le immagini prodotte sono una rielaborazione del passato, un ritorno attraverso la memoria alle radici dei significati e dei significanti, a partire dai quali risulta possibile la proiezione di mondi possibili. Solo un forte impulso alla vita e un anelito spiccatamente erotico permettono di affrontare questa immersione nelle radici dei sensi, che lascia chi lo realizza senza difesa di fronte al vuoto, nudo davanti alla morte: il compito di costruire senso mediante la produzione e la fruizione di immagini non potrebbe essere portata a termine -Bill Viola pare saperlo bene- senza una esperienza continua dei limiti dell’umano.
Per questo la mostra fiorentina è un salto nel vuoto, un rischio che si corre.
Per fortuna.
MICHELE PASCARELLA
Vista a Palazzo Strozzi, Firenze, il 14 aprile 2017 – aperta fino al 23 luglio 2017 – info: palazzostrozzi.org