«Un antichissimo aneddoto persiano descrive il narratore come un uomo ritto su uno scoglio di fronte all’oceano, completamente solo. Egli racconta incessantemente, storia dopo storia, facendo appena una pausa di tanto in tanto per bere un bicchiere d’acqua. L’oceano l’ascolta tranquillo, affascinato. E l’autore anonimo aggiunge: “Se un giorno il narratore tace, o lo fanno tacere, nessuno può dire cosa combinerà l’oceano”»: la quarta di copertina del celeberrimo Il circolo dei contastorie di Jean-Claude Carrière pare utile a introdurre queste poche righe su Miseria & Nobiltà, sulla necessità di questo spettacolo.
Necessità è un termine scivoloso, nel mondo del teatro. Un po’ come urgenza: parole-cliché usate per avvalorare un fare spesso, al contrario, autoriferito e ombelicale.
Sulla necessità del raccontare in tanti hanno riflettuto (come non pensare al breve saggio di Benjamin su Leskov del 1936?) e di cui tutti abbiamo fatto e facciamo esperienza: «Sai che mi è successo ieri? No? Stai a sentire». Viviamo in una storia, la nostra, e anche in quella di alcune persone che ci sono vicine. E pure in altre storie che condividiamo con i nostri vicini, col nostro popolo, talvolta con il mondo intero.
Spesso ci piace ascoltare le storie che già conosciamo: in parte retaggio infantile, in parte gusto di verificare la quota di variazione che l’interprete del caso ha impresso al già noto.
L’allestimento di Miseria & Nobiltà diretto da Michele Sinisi perpetua il rito antico ed eterno di un gruppo di esseri umani vivi e vitali che si incontrano per raccontare e per ascoltare (o ri-ascoltare) una storia.
In scena ben undici artisti, numero spropositato per la media degli allestimenti odierni: attori e attrici davvero capaci che imprimono alla commedia di Eduardo Scarpetta del 1887 (resa celebre dalla trasposizione cinematografica con Totò e Sophia Loren sintetizzata dall’immagine iconica di don Felice Sciosciammocca che divora gli spaghetti) un andamento a dir poco esuberante.
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Tutti (principalmente grazie a Totò) conoscono la vicenda: Miseria & Nobiltà interessa non per le conclusioni, ma per la musica. Anche quella dei molti dialetti in scena, che assieme alle reiterazioni di alcuni intercalare funzionano come “maschere vocali”, a rendere lo spettacolo pienamente leggibile: facile ma non banale, folle ma non stupido, estroflesso ma non superficiale.
Tutto è ritmo, direbbe Friedrich Hölderlin. Il ritmo è tutto, diciamo noi: quello che Diletta Acquaviva, Gianni D’addario, Gianluca delle Fontane, Giulia Eugeni, Francesca Gabucci, Stefania Medri, Giuditta Mingucci, Donato Paternoster e gli strepitosi Stefano Braschi e Ciro Masella, sorvegliati in scena da un pacato e al contempo scattante Michele Sinisi, profondono con generosità nelle quasi due ore di spettacolo.
Le molte invenzioni e i riferimenti linguistici di questo Miseria & Nobiltà si inscrivono pienamente nel mondo del teatro: al contrario di molte proposizioni odierne che fanno dell’ibridazione fra discipline e della non definibilità la loro peculiare cifra (a volte con esiti altissimi e di assoluto interesse, ça va sans dire) qui la ridda di giochi tra gli attori e tra palco e platea sono segno di un artigianato, di un immaginario e di modus operandi pienamente, anticamente, solidamente teatrale.
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Nella regia di Sinisi, che come un odierno Kantor abita e illumina la scena moltiplicando i piani del racconto e spostandoli a cadenze (ir)regolari da rappresentazione a presentazione (da finzione a realtà, si potrebbe anche dire), si ritrovano alcuni stilemi e topoi di un suo Riccardo III in solitaria di qualche anno fa. Come allora, anche in questo Miseria & Nobiltà il lungimirante artista pugliese mina dall’interno l’impianto finzionale della rappresentazione, dando corpo alla crisi tutta contemporanea della forma-dramma: frammentazione, incompiutezza, discontinuità, simultaneità, sospensione del senso, opacizzazione dei segni sono alcuni dei dispositivi (che dal 1999 in poi con Hans-Thies Lehmann definiamo post-drammatici) che concorrono a far esplodere la vicenda di Felice Sciosciammocca e compagni. Di atomizzarla, rendendola propriamente universale: smaccatamente finta e perciò profondamente vera.
Lo spettacolo è costruito con grande ironia, termine da intendersi sia nell’accezione socratica di distacco da ciò di cui si parla che come salvifica allegria: è pura gioia, questo Miseria & Nobiltà. Pare persino che anche gli attori si divertano come pazzi, sulla scena. Se non è vero, ce lo fan comunque credere, dunque va bene così.
Va molto bene così.
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MICHELE PASCARELLA
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La recensione visiva posta in apertura di questo articolo è dell’illustratrice e grafica Monica Rabà.
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Visto al Teatro Comunale di Cervia (RA) il 2 marzo 2017 – info: elsinor.net, accademiaperduta.it
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