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Una scena-mondo affollata da centinaia di lampadine: il piccolo palcoscenico è colmo di minuscoli oggetti, lievi suoni percussivi e di pianoforte, delicate invenzioni, micro-azioni e semplici racconti della brasiliana Helena Bittencourt e dell’olandese Goos Meeuwsen, a evocare gli universi del clown (da qui il titolo, forse), della giocoleria e del nouveau cirque.
La partitura gestuale, eseguita con perizia dai due artisti in scena, a tratti contraddice (rendendolo tridimensionale) e a tratti raddoppia (appiattendolo) l’universo estetico e semantico di riferimento, che pare attingere in egual misura dalle delicate poesie di Vivian Lamarque e da quelle -sulla carta e non- di Antonio Catalano, da certa nuova scena di area francofona e da Il favoloso mondo di Amélie: come nella celeberrima pellicola di Jean-Pierre Jeunet del 2001 qui si ricrea un mondo. O meglio: lo si seleziona.
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Imitazione della bella natura, pare essere il principio che ha guidato il regista Daniele Finzi Pasca nella costruzione di Bianco su bianco.
Bella natura: si usa questa espressione nell’accezione del filosofo francese Charles Batteux (1713-1780), secondo il quale essa non si pone come dato, bensì in quanto prodotto di una complessa operazione che l’artista compie a partire dall’oggettività naturale (culturale) propria del mondo reale, in vista del suo perfezionamento.
Perfezione: idea che in Batteaux (e forse anche in Finzi Pasca, a quanto ci è stato dato vedere a Russi) si caratterizza secondo un punto di vista al contempo soggettivistico (legato alla sensibilità) e oggettivistico (legato alla sfera razionale). È una duplicità che non si propone come riflesso di un antagonismo irriducibile, ma come tentativo di ritrovare un’equilibrata correlazione fra soggetto e oggetto, fra sentimento e ragione, nell’ambito specifico dell’arte e del gusto.
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In Bianco su bianco il mondo ricreato (o meglio, come detto, selezionato) pare essere non il prodotto di un’attività puramente immaginativa, ma neppure un mero dato oggettivo: l’opposizione arte-natura viene mediata da un modello ideale interiore, da un’idea che l’artista si forma autonomamente. Non solo, o non tanto, attraverso una meccanica sommatoria di parti belle, ma intervenendo anche attivamente sul materiale selezionato sia per integrarlo che per modificarlo: la natura preventivamente scelta viene, dunque, abbellita.
Ci sembra di poter dire, in sostanza, che se l’invenzione artistica presiede al ritrovamento-riconoscimento e alla scelta delle parti belle presenti in una natura che di per sé è sempre difettiva (e difettosa), l’immaginazione -per suo conto- presiede alla formazione di quel modello ideale che pare essere il vero prototipo di questa proposizione artistica.
Finzi Pasca ha creato questo “mondo”, si può forse azzardare, affinché l’opera d’arte (che pure è costruita partendo dal dato naturale: oggetti, suoni, narrazioni, corpi, abilità) lo oltrepassi perfezionandolo (dal punto di vista razionale) e al tempo stesso rendendolo emotivamente “interessante” (dal punto di vista della sensibilità).
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Bianco su bianco, sia detto con brutale sintesi, legittimamente incarna uno dei molti modi di intendere oggi (e da qualche secolo, appunto) l’arte e il bello.
«Avvengono miracoli / se siamo disposti a chiamare miracoli / quegli spasmodici trucchi di radianza» scrisse Sylvia Plath ne La lunga attesa dell’angelo: lei, con l’idea alla base di questo spettacolo, sarebbe certamente stata d’accordo.
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MICHELE PASCARELLA
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Visto al Teatro Comunale di Russi (RA) il 6 marzo 2017 – info: teatrocomunalerussi@ater.emr.it
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