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«Il surrealismo sono io» dichiarò un giorno Salvador Domènec Felip Jacint Dalí i Domènech, marchese di Púbol, il poliedrico artista spagnolo che ha attraversato quasi tutto il Novecento (nato nel 1904, è morto nel 1989) incrociando le vite di molte celebrities, lui stesso (pro)ponendosi come star.
Non è certo questa la sede per riassumere vita e opere di cotanto baffuto personaggio: in poche righe ci si vuol concentrare sui motivi della delusione provata da alcuni nostri conoscenti che, prima di noi, avevano incontrato la Dalì Experience.
Perfettamente in linea con lo spirito delle Avanguardie Storiche, di cui come è noto il Surrealismo è stato parte integrante, la proposizione bolognese è concepita come esperienza immersiva, multisensoriale, propriamente estetica (termine da intendersi come contrario di anestetica, non di inestetica).
Dalì Experience propone un’idea di arte molto lontana da quel “guardare e non toccare” che, convenzionalmente, connota la nostra fruizione degli spazi museali: luoghi in cui la distanza reverenziale di fronte alle opere, il divieto di toccarle e l’esigenza di silenzio e compostezza danno al pubblico la sensazione di trovarsi in una chiesa. Dopotutto, nei musei, malgrado non siano luoghi di culto, troviamo anche oggi immagini che suscitano devozione. L’andare fuori dal conosciuto, con buona pace delle suddette Avanguardie, è esperienza che spiazza e dunque, purtroppo, spesso allontana.
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Secondo motivo di “lamentela”, da parte di molti: a Palzzo Belloni sono presenti soprattutto sculture (progettate da Dalì e realizzate materialmente da artigiani) e incisioni, litografie, ecc: opere “multiple” che non appagano pienamente il gusto del fruitore, compiaciuto di trovarsi di fronte al frutto unico e inimitabile della techné dell’artista (al quale spesso ancora oggi sono riconosciute, quasi per statuto ontologico, doti e sensibilità “soprannaturali”, extra-ordinarie).
La relazione fra spettatore e opera è, d’abitudine, concepita in termini strettamente individuali: un soggetto (con il suo gusto e la sua educazione) davanti a un oggetto unico. Il fondamento filosofico di questa concezione si regge su una categoria di derivazione teologica che ricevette la sua più precisa e calzante formulazione in una delle opere capitali del pensiero estetico occidentale, la Critica del giudizio (1790) di Immanuel Kant. Ma diciamolo finalmente con chiarezza: questa categoria, in cui sono compendiati tutti i referenti delle condizioni ideali della relazione tra spettatore e opera d’arte, non è altro che la categoria della contemplazione.
Dalì Experience propone altro, e questo è difficile da digerire, per molti.
Poco conta che sia passato mezzo secolo dalle molte Marilyn serigrafate da Andy Warhol (o da chi per lui), a nulla vale la netta, chiarissima citazione all’ingresso, «A true artist s not one who is inspired, but one who inspires others»: le abitudini (mentali) son dure a morire.
«Lanciatemi un’idea, non pomodori, cretini!», urlava Filippo Tommaso Marinetti durante le agitatissime serate futuriste, durante le quali il pubblico protestava senza freni contro un’idea di arte lontana anni luce dal già noto. Era esperienza artistica, toccare una Tavola Tattile fatta passare fra il pubblico mentre sul palco qualcuno declamava onomatopee?
È esperienza artistica sentire nell’audiopenna il barrito di un elefante quando ci si trova davanti a questa scultura?
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È esperienza artistica scendere nel seminterrato del Palazzo, là dove si trovano i bagni, per incontrare una serie di ritratti fotografici in bianco e nero di Dalì?
Secondo noi, sì.
Assolutamente sì.
Se per arte si intende un incoraggiamento a spostarsi dal conosciuto, dal già visto, per incontrare luoghi di sé e del mondo inaspettati allora sì, quella è arte.
Dire grazie, almeno.
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MICHELE PASCARELLA
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Fino al 7 maggio 2017 – Bologna, Palazzo Belloni, via Barberia 19 – info: daliexperience.it
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Il mio commento è troppo di parte essendo uno dei curatori e direttore artistico della mostra…Ma non riesco a non farti i complimenti per come hai saputo interpretare tutto il processo e l’idea che ci ha portato alla realizzazione di questo “esperimento”. Grazie
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