Era l’epoca delle radio libere, che poi naturalmente l’industria ha fatto diventare commerciali(ssime) e tutt’altro che libere: immaginiamo i pischelli che nel 1976 accendevano le radio e, boom, scoppiava Musica ribelle la quale, senza scadere in esagerata retorica, è la piccola, grande Like A Rolling Stone italiana, è uno di quei pezzi che sconquassano, che danno il la alla scossa tellurica, che cambiano le regole del gioco – che Vasco prima, i Litfiba poi e Ligabue infine col cavolo che ci sarebbero stati senza!
La matematica non è un’opinione, fanno quarant’anni che Eugenio Finardì lanciò quel magnifico sasso, singolo e opener del suo disco forse più bello, Sugo. Un tale anniversario meritava una celebrazione come si deve – e, infatti, il Teatro Dal Verme di Milano, la Milano tanto diversa dal 1976 ma sempre a due passi dalla stazione Cadorna e accanto da Foro Bonaparte, per l’evento è pieno come un uovo: Eugenio Finardi: Musica Ribelle, *la reunion*. Il là lo ha dato il magnifico box set uscito pochi giorni fa, 40 anni di Musica Ribelle 1976-2016, che raccoglie i primi cinque dischi di Finardi, tirati a lucido ex novo dopo un anno che lo stesso autore vi ha lavorato con cura maniacale (così, almeno, dice lui – e bisogna credergli!) – il resto è storia di una serata veramente magnifica dove i dischi della Cramps, l’etichetta di Gianni Sassi che in origine li pubblicò, sono stati ripercorsi in lungo e in largo con molti nomi dell’epoca quali nientemeno che Patrizio Fariselli, Walter Calloni, Lucio Bardi, Giovanni Maggiore, Ares Tavolazzi, Claudio Pascoli, Mauro Spina, Lucio “Violino” Fabbri, Bob Callero e Maurizio Preti, la crema dei musicisti rock (e oltre) anni Settanta di area milanese, cui si sono aggiunti collaboratori susseguenti di Eugenio come Mark Harris, Faso (Elio & le Storie Tese – nel difficile ruolo di sostituire l’appena scomparso Hugh Bullen e Stefano Cerri – ai quali è subito dedicato l’intero concerto) e Vittorio Cosma (pluri-collaboratore di EF e della PFM nonché Elio & le Storie Tese honoris causa). Dov’erano, però, Franc Jonia aka Franco Battiato, Alberto Camerini e Paolo Tofani (l’unico veramente giustificato, visto che la salute non è dalla sua) – che in quei dischi lasciarono segno indelebile? Già, non si può avere tutto – echisaccontentagode!
Per due ore e mezza è stato veramente un trionfo della Milano pre-da bere marchiata per sempre dalla Cramps, quando gli ideali, le tensioni e l’amore per le cose in genere giravano a mille e che certamente Eugenio ha incarnato più di qualunque altro suo all’incirca coevo in giro per l’Italia che voleva fare il rock – i già citati Vasco e Camerini ma anche Edoardo Bennato, Ivano Fossati e Francesco De Gregori. Vedere questa gente così in festa e ancora presente, è davvero bello: specie Finardi naturalmente, maestro della canzone italiana che è caduto e si è rialzato più volte – cadere e rialzarsi lo ha sempre fatto con onore, come si dice in questi casi, senza eccezione rischiando in proprio e mai con il culo degli altri. Il paradigma della Musica ribelle, insomma.
Se l’addio a Demetrio Stratos con Il concerto per Demetrio fu una specie di Ultimo valzer all’italiana, qui siamo di fronte al sigillo Amarcord alla milanese nel nome di tempi che non torneranno mai più. Appena Eugenio si presenta sul palco, si capisce immediatamente che l’occasione è di quelle serie, dove non si scherza, dove reality e puttanate tv restano ben sigillate fuori: l’attacco, da solo, con Amazing Grace come forse l’avrebbe fatta Stratos, spiega subito la magia della serata.
Di lì la cavalcata è somma, vibrante, emozionante, forse anche nostalgica ma con grande rispetto per una storia a dir poco importante e, nonostante il famoso detto, irripetibile. Poi arriva la band ed è subito una potentissima Se solo avessi, quella del Kawasaki, che accende gli animi come era facile aspettarsi – senza che più siano placati per il resto della performance scivolata via attraverso grandi titoli come La CIA – con sempre quel bel beat reggae – Oggi ho imparato a volare, Saluteremo il signor padrone, Voglio, un’assolutamente esaltante Diesel con l’entrata modello veri fuoriclasse di Tavolazzi e Fariselli, Scuola – con quel testo contro che è il paradigma del primo EF – lo strumentale Quasar affidato tutto ad Ares e Patrizio, Non diventare grande mai, Giai Phong, la sempre stordente e cruda Scimmia, Taking It Easy con ospite Elio al flauto, La radio, Zerbo – il Festival di Re Nudo: Eugenio all’epoca era davvero un drago con canzoni dove la sua personale cronaca incontrava lo spaccato di un’epoca – Cuba. Alla fine, la vittoria secca di Musica ribelle e di Extraterrestre, quest’ultima con tutti gli straordinari musicisti sul palco per l’inevitabile o adesso o mai più – e che sia per sempre! Il resto non sono altro che standing ovation e applausi di cuore all’Eugenio Finardi maturo che ripercorre l’Eugenio Finardi giovane.
CICO CASARTELLI