Forét, un quartiere abitato soprattutto da studenti e con un bellissimo parco, ospita anche un centro d’arte contemporaneo all’avanguardia. Qui avrò la fortuna di lavorare il prossimo dicembre, presentando una serie di atelier dedicati ad Helena Almeida, un’artista che ho avuto la fortuna di scoprire proprio qui e di cui cercherò di parlarvi brevemente.
Considerata come una delle più grandi artiste contemporanee portoghesi, Helena Almeida s’impose negli anni 70 come una figura di riferimento per la performance e l’arte concettuale. Nata nel 1934 a Lisbona, dove tuttora vive e lavora, Helena Almeida esplora e rimette in questione le forme di espressione tradizionale, in particolar modo la pittura. Spinta da un desiderio costante di superare lo spazio delimitato dal piano della superficie pittorica.
L’esposizione intitolata CORPUS, visitabile fino al 31 dicembre 2016, al centro d’arte contemporanea Wiels, rintraccia le differenti tappe del lavoro dell’artista dopo le sue prime opere tridimensionali nella metà degli anni 60 – che testimoniano di già di un processo di decostruzione della tela- fino all’utilizzo della fotografia e poi più tardi del video. L’opera di Helena Almeida si caratterizza soprattutto per l’importanza del corpo inteso come luogo di conflitti di carattere politico nonché personale, il corpo umano incontra il mondo circostante e lo manipola: agisce, tocca, sente e lascia il suo segno come traccia in movimento e linee disegnate che tracciano forme espressive. Nei suoi primi quadri astratti l’artista pone la questione critica dei limiti dello spazio pittorico. Questo gioco con le forme, le linee, i colori Almeida lo estende negli anni 70 alla fotografia nelle composizioni performative caratterizzate da una posizione femminista e post-rivoluzionaria. Nel suo lavoro lo spazio dell’atelier e il corpo della donna frammentato o parzialmente occultato nascosto diviene allora motivo ricorrente.
L’esposizione corpus è la prima retrospettiva in Belgio consacrata alle diverse fasi della carriera di Helena Almeida, dalle sue prime opere a partire dalla metà degli anni 60, dove la distruzione della tela era già messa in evidenza grazie all’utilizzo della fotografia fino alle sue creazioni più recenti. Helena Almeida ha al suo attivo un innumerevole quantità di esposizioni in tutto il mondo, l’artista ha rappresentato il Portogallo alla Biennale di Venezia nel 1982 e nel 2005. Dopo la sua esplorazione del disegno, della pittura e della fotografia, Helena Almeida sposta la sua attenzione verso l’immagine, in particolare verso la sua propria immagine. La fotografia fornisce all’artista un modo di incarnare i suoi disegni e le sue pitture. I lavori più recenti di Almeida dimostrano una considerazione da differenti punti di vista del suo corpo. La sua messa in scena, raffrontabile alla coreografia, di fronte alla lente di suo marito Arthur rosa non può essere compresa che secondo le sue proprie parole e cioè come una performance. Le sue fotografie catturano un istante, un momento fissato nello scorrere del tempo dove il suo corpo appare e scompare in rapporto al piano dell’immagine. Il suo corpo è contemporaneamente soggetto e centro della sua opera.
Dall’inizio della sua carriera Almeida introduce nella sua pittura astratta le preoccupazioni centrali che definirono la sua pratica artistica, in particolare la sua volontà di oltrepassare il limite dello spazio pittorico e narrativo. La sua serie di tele senza titolo compiute tra il 1968 e il 1969 testimonia di un processo di decostruzione dei supporti artistici tradizionali e del linguaggio della pittura. L’artista arrotola la tela e la sospende come una tenda, o la distende come una struttura molle che cade sotto la pressione del proprio peso o ancora offre la possibilità di guardare dall’altro lato della tela, il telaio. “Ho cominciato da un linguaggio familiare, il mio fine non era di fare dell’arte astratta, a poco a poco tutti questi elementi sono usciti dalla tela. In seguito la tela ha cominciato ad auto.decostruirsi, era una sorta di distruzione, una necessità di porre fine alla pittura, come una finestra che si apre, una tenda che si arrotola”. Concepito come un gesto, ogni pittura richiama un movimento performativo.
Applicando del crine di cavallo su alcuni lavori in carta e cartone, Almeida inaugura alla fine degli anni 60 una serie di disegni ‘sculturali’ che proseguirà durante tutto il decennio seguente. Queste opere escono dal supporto, si proiettano all’esterno, rendendo il disegno tridimensionale e tangibile, capace di invadere lo spazio dello spettatore. L’artista spiega: “non ho mai fatto pace con la tela con l’aiuto della carta o di un altro medium. Penso che la mia rottura con il medium attraverso le linee oblique dei volumi dei fili e di diversi altri mezzi è sempre stata motivata da un’insoddisfazione profonda nei confronti della questione dello spazio. Che io lo affronti o che io lo neghi, queste sono state le sole vere costanti del mio lavoro. Non sarei lontana dalla verità, se dicessi che io dipingo la pittura e che disegno il disegno”. Nella metà degli anni 70 il gioco con la forma, le linee, il colore dei suoi quadri si evolve verso la composizione performativa. Almeida comincia ad utilizzare i mezzi della pittura come estensioni del suo corpo e si fa fotografare in azione. Il ricorso alla fotografia le permette di esplorare lo scarto tra gli stati interiori soggettivi e le loro forme esteriori visibili. Allora lo spazio dell’atelier e il corpo femminile, frammentato o parzialmente dissimulato, diventa la presenza ricorrente. La trasformazione del filo in una linea, in ‘Disegni abitati’ i colpi di pennello blu sulla fotografia, in Pinturas habitadas e Estudos para uma enriquecimiento interior o l’atto di vestirsi con la tela stessa in ‘Tela abitata’ corrispondono a un’azione, a un marchio, un registro di presenza. In quello che dimora nelle sue opere più conosciute le Pinturas habitadas 1975-1977 Almeida occupa lo spazio al tempo stesso come artista e come modella e in questo senso occupa la posizione storica dell’uomo e della donna insieme. Cerca di organizzare il suo proprio autoritratto attraverso un’immagine rifratta.
Alla fine degli anni 70 le immagini di Helena Almeida assumono un carattere più cinematografico. Nelle serie Ouve me 1978-1980, Sente me 1979, Ve-me 1979, ognuna fa riferimento a un contesto sensoriale e ai suoi effetti emozionali. Le parole Ouve-me (ascoltami) sembrano cucite sulle labbra dell’artista, accentuando la sensazione di mutismo imposto. Le immagini di Helena Almeida imbavagliate, soffocate da una tela contro la quale lei spinge la sua bocca e le sue mani, veicolano un sentimento di oppressione e allo stesso tempo di controllo, di ingestione, di spazio interiore combinato con lo spazio esteriore. Nella sua pièce sonora Ve-me (Guardami), Almeida registra il suono che lei produce, disegnando. Il suo scopo, spiega lei, non è tanto quello di realizzare la registrazione descrittiva di un’azione, ma piuttosto di cercare di far sentire lo spazio in movimento. Entrando e restando nella zona vibrante del disegno, noi ci diluiamo in lui e con lui formiamo uno spazio fisico manipolato / tagliato, pieno e vuoto. La performance filmata Ouve-me (ascoltami) mostra l’artista coperta da un velo che palpita al ritmo del tuo respiro e alla pressione del suo corpo, come un disegno ottenuto per contatto fisico. Negli anni 1980-1990 il cambiamento di forma, di formato e di scala traduce la figura umana nella sua misura reale, riducendo il suo movimento e la sua espressione a un contorno nero, a un’ombra, come nei disegni e le fotografie della serie Dentro di me 1995-1998, In queste opere la figura umana marca la sua presenza e proietta la sua ombra nella forma di un denso pigmento nero, tracciando delle diagonali sul suolo; le sue mani, i suoi piedi spandono delle tracce di pittura nello spazio vuoto dell’atelier; il corpo è assorbito nel suo movimento, piuttosto che sull’espressione del viso Almeida concentra l’attenzione dello spettatore sugli elementi ridotti del corpo, sul potere espressivo di una mano in movimento o di una gamba in tensione. È questo il corpo che vediamo evolversi e cambiare nel corso del lavoro di Almeida, con tutto il suo sapere e la sua esperienza e con la profondità emotiva e psicologica che ne risulta. La coreografia e la composizione di numerose di queste opere sono elaborate con l’aiuto di schizzi preparatori e di studi sul movimento che per il loro rigore e loro livello di precisione strutturano l’istante fugace dell’inquadratura e dello scatto.
Nella sua serie Seduire 2001/2002, Almeida prosegue l’esplorazione di questo personaggio espressivo e della manifestazione fisica del desiderio e dell’interiorità. Le fotografie, i disegni e i video di questa serie testimoniano la complessità di un processo creativo, dove il momento della fotografia è definito con l’aiuto del disegno, degli studi coreografici e del condizionamento del potenziale emotivo e affettivo del corpo. A partire dal disegno Almeida crea nel suo atelier dei movimenti e delle forme -una coreografia che che viene filmata – i quali definiscono la composizione dei suoi delle sue notevoli immagini, ma mettono alla prova anche i limiti della capacità espressiva del suo corpo.
Helena Almeida: CORPUS vista il 10 settembre 2016 al Centre d’art contemporaine di Bruxelles – curatori della mostra Giovan Ribas e Marta Almeida, curatore Wiels Devrim Bayar. Esposizione co-prodotta con Jeu de Paume, Paris.
VANESSA SORRENTINO