Phish, ed è Ween-mania!

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Sottotitolo, Bob Ezrin atto II – ossia i Phish tornano a lavorare con l’uomo che fra Lou Reed e Pink Floyd ha vergato di grandeur dischi come Berlin e The Wall. E non che la cosa, sulla carta, ai noi accendesse particolari gioie: Fuego (2014), l’atto I del gruppo con Ezrin, non è in cima ai nostri sogni di come vorremmo fosse un disco dei Phish – quello, per essere chiari, era stanco e prog, magniloquente e senza la giocosità che è sempre stata l’arma killer di Trey Anastasio & Company. Big Boat, invece, è la reazione a quei presupposti: è solare come da tempo non ascoltavamo la band ed è, sopratutto, il Ween-album del quartetto, con quei cambi d’umore e d’ambiente che frizzano in tutti i tredici numeri. Va da sé ricordare che Gene & Dean Ween siano da sempre fra gli artisti favoriti di Anastasio e, anzi, il duo è l’equivalente minimal dei Phish.

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Big Boat vuole sorprendere fin dell’inizio: se mai aveste pensato che il batterista Jon Fishman potesse aprire un disco dei Phish con un suo brano, eccovi subito accontentati con Friends, squinternato pump rock che mette immediatamente di buon umore. Fishman che apre un disco dei Phish, da non credere! Appena dopo, però, king Trey sale in sella e con Breath And Burning, peraltro prescelto singolo di lancio, inchioda un bel esercizio open air con tanto di fiati fra Little Feat e i migliori Chicago. E così è per il resto dell’album dove, quando protagonista, Anastasio non ne sbaglia una: in rassegna passano il funky molto New Orleans di Blaze On, il chiaro omaggio alla Band di Tide Turns, le deraglianti note di No Men In No Man’s Land, gli elegiaci toni ballad vagamente Stones di Miss You (niente Central Park dopo il calar del buio, tranquilli…), i vorticosi cambi di tempo di More oppure il gioiello tirato a lucido Petrichor, tredici minuti fra Frank Zappa e i Beatles che ti mettono sull’attenti per evidente creatività come un vulcano in eruzione – ecco, tutto ciò presenta il miglior Anastasio, erudito mago delle note con visione pluridimensionale. Un cenno a parte per l’acustica Running Out Of Time: è il Trey che viaggia sulle frequenze dei suoi classici WasteSplinters Of Hail Sleep, che pizzica la chitarra, che lascia da parte qualsiasi enfasi, che non cerca il virtuosismo – e che con poco (ma ben pensato) seduce senza possibilità di resistergli.

Trey Anastasio
Trey Anastasio

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Mike Gordon
Mike Gordon

Il lavoro, comunque sia, non è solo Anastasio – ci sono anche gli altri. Il bassista Mike Gordon, che a nostro parere è il titolare della miglior carriera solista dei quattro Phish (solista finché non fa dischi con il grande Leo Kottke, peraltro – già due le opere pubblicate dal duo, consigliatissime), con Waking Up Dead regala uno dei momenti più belli di Big Boat, fra bel tiro di brioso prog e voci che si rincorrono in un dissonante bluegrass. Infine, il tastierista Page McConnell, titolare di ben tre main spotHome è forse il momento più ordinario dell’album, Things People Do è giusto un bozzetto lo-fi mentre I Always Wanted It This Way è un avvincente space rock che avviluppa e che non permettete di divincolarsi. Ah, questi incontenibili Phish che una ne pensano e cento ne fanno – o forse è il contrario?

CICO CASARTELLI

PHISH – Big Boat (Jemp Records)

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