Già dal titolo si capisce che il nuovo disco di Elza Soares dev’essere roba buona: A Mulher do Fim do Mundo, la donna della fine del mondo. Ma chi è costei, nata nella favela di Moça Bonita a Rio de Janeiro non si sa ancora bene o se nel 1930 o se nel 1937 (e vi è una bella differenza…)? In Brasile è una vera star: esplode nei primissimi anni Sessanta e diventa la donna più in vista del gossip grazie anche alla storia d’amore con Mané Garrincha, la leggendaria ala sinistra del Botafogo e della Seleção, che culminò nel matrimonio fra i due e poi esplose causa abusi fra droga e cachaça (la storia del loro amore turbolento è raccontata benissimo nel film Garrincha/Estrela Solitária del 2003). Fra l’altro, la coppia ebbe anche che trascorsi italiani: dal 1969 al 1972 visse fra Roma e Torvaianica. Cenni biografici a parte, qual è la musica dell’artista? Detto in parole povere, Elza Soares non è il Brasile dell’élite tipo Elis Regina (anche se lì il dramma non mancava) o quello da favola di Gal Costa o di Maria Bethânia, certamente bellissimo ma anche, talvolta, rassicurante – Elza è pura favela, randagia e scorbutica come la più ballerina delle ipertrofie, non ha l’ugola soave delle sue colleghe verdeoro ma, semmai, la sua voce è un rantolo di quelli che una volta uditi, boom boom, non lascia più.
Tolto il live Beba-me (2007), era dai tempi dell’uno-due di gran stile Do cóccix até o pescoço (2002) e Vivo feliz (2006) che non avevamo notizie di lei, discograficamente parlando – ora, nonostante la veneranda età e il fisico che la costringe su sedia a rotelle, A Mulher do Fim do Mundo rompe gli indugi e la riporta sulle scena con il colpo che solo una gran dama sa infilare (la pubblicazione internazionale, dopo quella originaria in terra natia di diversi mesi fa, è proprio di queste settimane) – e non per niente, forse, l’avete vista sfilare e cantare in tutta la sua regalità alla cerimonia di apertura dei giochi olimpici a Rio 2016. Il disco sarà forse il colpo di coda di un monumento della musica brasiliana – ma avercene di altri artisti (magari giovani) che sappiano pure loro giocare a piacimento come lei con samba, rock, rap ed elettronica nonché affrontare dal basso, senza intellettualismi, temi come la transessualità, l’essere negro in un paese sottosopra come il Brasile («La carne più economica sul mercato è quella negra», scandiva in un suo vecchio successo, A carne), la sofferenza urbana e la condizione della donne nell’ambiente delle classi più disagiate.
A Mulher do Fim do Mundo, undici brani per una quarantina di minuti, è musica con la scossa, di quella che oggi ve ne è sempre meno. Da citare immediatamente i due pezzi con giovani special guest da quelle parti in rampa di lancio: Firmeza? con Rodrigo Campos, favela rap orchestrato come le vecchie cose di Jards Macalé, e Benedita con Celso Sim, che senza intento di esagerare appare come un Tom Waits meets Massive Attack a latitudine tropicale. E i grandi momenti del disco non sono certo solo questi, come dimostrano lo spettacolare vortice d’umori e sensazioni Luz Vermelha, il cyber-samba spastico Maria Da Vila Matilde oppure lo stesso tema guida con quelle parole belle e toccanti che esplodono con dona Elza che grida fiera «lacrime di samba sulla punta dei piedi». Godetene di questo Brasile che, come direbbe Caetano Veloso, è terra di grande dolore e piccole ambizioni fra carnevale e futebol, dove Elza Soares resta comunque l’incontrastata regina della favela.
CICO CASARTELLI
ELZA SOARES – A Mulher do Fim do Mundo (Mais Um Discos)