Bruce Hornsby e la bianca musica cosmica americana

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Finalmente, è successo: Bruce Hornsby ha davvero fatto il suo “album Grateful Dead”, quello che aspettavamo fin da che dal 1988 dei Dead divenne elemento/special guest praticamente fino alla fine dei giorni del gruppo e da che negli anni Novanta egli vantava Jerry Garcia ospite nei suoi album. Già gli ultimi lavori, specie quelli condivisi con Ricky Skaggs, mostravano avvisaglie di back to the roots – probabilmente i concerti celebrativi del Morto avvenuti nel 2015 lo hanno convinto a fare il salto definitivo: Rehab Reunion lascia alle spalle il pop e i preziosismi vari portandolo nel mondo parallelo della Cosmic American Music che fu tanto cara al fraterno amico Garcia.

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Bruce Hornsby, virginiano doc, è il tipico esempio di americano discendente dei padri pellegrini, bianco fin nel midollo – e la sua musica lo ha sempre indicato inequivocabilmente: jazz ma quello white, musica degli Appalachi, Carter Family, bluegrass, Gershwin, arriviamo a dire anche Don Henley ed Eagles. Bianco, bianchissimo. Rehab Reunion fin del primo pezzo, Over The Rise con ospite Justin Vernon dei Bon Iver, lo spiega bene cosa intende per bianco Bruce: è gospel ma di quello old time delle comunità rurali, della campagna dove ancora si trovano tanti amish, mennoniti e in generale i discendenti delle chiese anabattiste. E anche quando fa capolino Mavis Staples, come nell’epilogo al lavoro Celestial Road, l’uragano di Chicago fa appunto l’ospite in una chiesa bianca: porta testimonianza ma non cambia i connotati a niente.

Bruce Hornsby con Mavis Staples
Bruce Hornsby con Mavis Staples

Hornsby

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Bruce Hornsby con Jerry Garcia durante un concerto dei Grateful Dead
Bruce Hornsby con Jerry Garcia durante un concerto dei Grateful Dead

Nel mezzo il disco è un gran bel viaggio nella musica tradizionale traslata con l’idea di note e con la perizia tecnica che da sempre contraddistinguono l’opera di Hornsby – solo che qui tutto suona più vero, una specie di tuffo dove l’acqua è più incontaminata, al suono sì del suo piano ma anche di violino, di autoharp e di washboard che li senti ovunque come quando sei dalle parti di una cascata (di note): tutto questo lo cogli chiaro e forte quando passi per M.I.A. In M.I.A.M.I., Soon EnoughTSA Man oppure Tropical Cashmere Sweater. Insomma, qui i rigurgiti dell’American Beauty sono tanti – e si gode molto. Un cenno a parte per l’auto cover di The Valley Road: fu il pezzo che lo impose nelle classifiche americane nel lontano 1988 ed era il tipico esempio di AOR, di adult oriented rock (qualcuno, all’epoca, parlò di dad’s rock, il rock di papà –  non un complimento) – qui invece Bruce Hornsby riporta tutto a casa con una splendida versione unplugged solcata di strumenti che suonano pieni, tutto a vantaggio di una canzone che sotto i synth e le batterie programmate già all’epoca si faceva apprezzare per una scrittura comunque ben al di sopra della media.

CICO CASARTELLI

BRUCE HORNSBY & THE NOISEMAKERS – Rehab Reunion (429 Records)

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