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Caro Roberto,
per stima ti scrivo appena sveglio queste righe, dopo la giornata di ieri passata fino a notte fonda dentro e vicino al Festival di Santarcangelo.
Lo faccio in maniera pubblica perché mi piace pensare che le riviste, piccole o grandi, possano ancora essere luoghi di dialogo.–
Riporto, per dovere di chiarezza, la notizia ricevuta su questo tuo spettacolo:
Fortebraccio Teatro | Amleto + Die Fortinbrasmaschine
di e con Roberto Latini musiche e suoni Gianluca Misiti luci e tecnica Max Mugnai drammaturgia Roberto Latini Barbara Weigel regia Roberto Latini movimenti di scena Marco Mencacci organizzazione Nicole Arbelli foto Fabio Lovino produzione Fortebraccio Teatro in collaborazione con L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino ATER Circuito Regionale Multidisciplinare – Teatro Comunale Laura Betti Fondazione Orizzonti d’Arte
AMLETO + DIE FORTINBRASMASCHINE è la riscrittura di una riscrittura.
Alla fine degli anni ‘70 Heiner Müller componeva un testo che era liberamente ispirato all’Amleto di Shakespeare.
Oggi, tentiamo una scrittura scenica liberamente ispirata a Die Hamletmaschine di Heiner Müller.
Lo facciamo tornando a Shakespeare, ad Amleto, con gli occhi di Fortebraccio, con l’architettura di Müller, su un palcoscenico sospeso tra l’essere e il sembrare. Intitoliamo a Fortebraccio il nostro sguardo sul contemporaneo, la caccia all’inquietudine nel fondo profondo del nostro centro, per riscriverci, in un momento fondamentale del nostro percorso.
Ci siamo permessi il lusso del confine e abbiamo prodotto da quel centro una deriva.
Una derivazione, forse; alla quale riferirci nel tempo, o che probabilmente è il frutto maturo di un tempo che già da tempo è il nostro spazio.
Di Heiner Müller conserviamo la struttura, la divisione per capitoli o ambienti e componiamo un meccanismo, un dispositivo scenico, una giostrina su cui far salire tragedia e commedia insieme.
Die Hamletmaschine è modello e ispirazione: Album di Famiglia; L’Europa delle donne; Scherzo; Pest a Buda Battaglia per la Groenlandia; Nell’attesa selvaggia, Dentro la orribile armatura, Millenni.
Ci accostiamo alla potenza della sua intenzione trattandolo come un classico del nostro tempo.
La riflessione metateatrale e quindi culturale e quindi politica che ci ha sempre interessato, la capacità del teatro di rivolgersi a se stesso, alla sua funzione, alla sua natura, per potersi proporre in forme mutabili, mobili, è la voce dalla quale vorremmo parlare i nostri suoni.
L’Amleto è una tragedia di orfani, protagonisti e antagonisti di un tempo in cui i padri vengono a mancare. Anche Die Hamletmaschine, ormai, da figlio è diventato padre.
Questo ha a che fare con la nostra generazione, da Pasolini in poi, con la distanza che misura condizione e divenire, con il vuoto e la sua stessa sensazione.
Siamo Fortebraccio, figlio, straniero, estraneo e sopravvissuto e arrivando in scena quando il resto è silenzio, domandiamo: “Where is this sight?”
r.l.
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La tua presentazione si conclude con una citazione intrigante, domanda-chiave di Fortebraccio sul finale di Amleto (atto V, scena II). Questa parola, sight, significa cose diverse: vista, certo, ma anche spettacolo, visione, mirino. E luogo di interesse, avvistare, scorgere, puntare verso qualcosa.
Il teatro che hai proposto alle decine di persone salite a Mondaino ieri pomeriggio è, come sempre nei tuoi lavori, etimologicamente luogo dello sguardo e della visione. Ci sono cose da vedere. E misteri che si affacciano.
Come sempre. Credo che il rischio di questo tuo Amleto sia, detto malamente, di ricevere da Roberto Latini proprio quello che ci si aspetta da Roberto Latini: vari microfoni in scena, oggetti che roteano, sospensioni, travestitismi, sottolineatura di alcune parole-chiave, composizione di drammaturgie testuali proteiformi, montaggio di visioni, giri del palco, passaggi bisbigliati, uso (magistrale) di risuonatori vocali diversi, finali di alcune parole allungate, fiotti verbali emergenti da movimenti magmatici interiori, riferimenti meta-teatrali e letterari, evocazioni pop di cupa ironia (qui una slabbrata, strepitosa Marilyn Monroe in abito bianco svolazzante), oggetti di scena usati con funzione di sineddoche, esplicite dichiarazioni dell’impossibilità di significare, volume della voce dinamico, musiche emotivamente connotate, flagellazione e al contempo glorificazione del corpo dell’attore, moltiplicazione dei finali possibili, abbondanza di segni, reiterate interrogazioni allo spettatore sulla propria condizione di soggetto guardante.
Qual è il confine tra la fedeltà a un proprio percorso, e dunque anche a propri temi e stilemi, e il manierismo? Forse il manierismo è il destino di tutte le arti? Di tutti gli artisti?
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Date le condizioni produttive in cui troppo spesso nel nostro malandato Paese teatranti e danzatori si trovano a operare, è purtroppo cosa comune vedere in scena artisti che, non avendo materialmente tempo per portare avanti quella che fino a qualche anno fa veniva definita “la ricerca”, si appoggiano ai loro punti di forza, proponendo variazioni sul tema sempre dello stesso spettacolo, permanendo nel conosciuto. In questo caso, a quanto leggo dai materiali ricevuti, L’Arboreto di Mondaino ha realizzato insieme a te il lungimirante progetto di «accogliere per un anno un artista nomade in residenza». Dunque il tempo per «perdersi», come dici tu, forse c’è stato.
Mi piacerebbe chiederti: cosa vuol dire per te, concretamente, «ricerca»? È una parola che ha ancora senso, oggi, nella tua pratica?
Mi è parso che la giustapposizione delle diverse scene se da un lato riprende la spigolosa frammentazione messa in atto da Heiner Müller, nel tuo lavoro non sia ancora del tutto arrivata a una necessaria sintesi, dando l’effetto di una serie di più o meno efficaci materiali scenici presentati come, appunto, “esito di residenza”. Ma forse questa è una scelta registica, nel merito della quale non entro: troppo spesso la critica è (secondo me malamente) intesa come aiuto-regia.
La feroce pars destruens che connota questo tuo Amleto mi pare il principale elemento di novità, dal punto di vista drammaturgico e compositivo, rispetto ai tuoi più recenti spettacoli (Metamorfosi e Giganti): forse proprio qui sta un possibile svincolamento dal rischio, propriamente narcisistico, di vedere Latini là dove si evocano Pirandello, Ovidio o Shakespeare.
O forse tu Amleto lo volevi fare così – e così, legittimamente, lo hai fatto.
Se hai voglia di rispondere ne sarei felice.
Un abbraccio,
Michele Pascarella
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Visto a L’Arboreto di Mondaino (RN) il 15 luglio 2016 – info: fortebraccioteatro.com, arboreto.org, santarcangelofestival.com
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Descrizione precisa di un mondo perduto che forse si è cercato senza volerlo trovare.L’infinito è utile a chi ne scopre i limiti
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