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Sto imparando a conoscere Bruxelles, ho capito che è una città formata da 19 Comuni indipendenti, che a sud confina con la Vallonia e a nord con le Fiandre. È percorsa da un fiume che si chiama Senne e non Senna. Nonostante le mie accurate nozioni geografiche, mi capita di perdermi come questa sera. Mi capita di chiedere informazioni a un passante che si dà le arie da perfetto conoscitore della città e dei suoi luoghi culturali. Effetti indesiderati? Fare la circumnavigazione a piedi del quartiere, scoprendo che il teatro era a due passi dalla metro da cui eri uscita. Arrivare a teatro all’ultimo minuto, sfiniti, imprecando contro gli improvvisati geografici che circolano per il mondo.
Secondo appuntamento. Il teatro è stracolmo di gente. Gli spettatori fanno pazientemente la fila per ritirare il loro biglietto. Notiamo che ci sono persone di tutte le età, un pubblico intergenerazionale. Stasera vediamo Simplexity- La beauté du geste uno spettacolo di Thierry De Mey, compositore e realizzatore di film di danza, creatore di installazioni coreografiche multimediali, che da più di 30 anni traccia un cammino singolare, guidato da una fascinazione per il movimento.
Ha lavorato per i più grandi coreografi e registi della scena contemporanea: Anne Teresa De Keersmaeker, Wim Vandekeybus, Bob Wilson e William Forsyte.
Questo artista ha scritto per la prima volta uno spettacolo appositamente per il Kunstfestival. Un’opera creata in collaborazione con l’Ircam, un centro unico al mondo che ha sede a Parigi e che ha come fine la ricerca tra musica e innovazione scientifico- tecnologica. In scena cinque danzatori e cinque musicisti dell’Ensemble intercontemporain, fondato nel 1976 da Pierre Boulez.
Silenzio in sala. Lo schermo dell’ultimo telefonino si spegne. Occhi puntati sul palcoscenico. Cinque danzatori e cinque musicisti inquadrati da finestre di luce. La freschezza dei gesti illuminati. Braccia liquide e giochi di mani. Danzatori e musicisti si scambiano i ruoli, giocando col corpo e con gli strumenti musicali. Il fondale cambia colore come i vestiti dei danzatori dal nero profondo all’oro al rosso. Improvvisazioni musicali, una grande arpa che provoca la dolcezza di una danza. Ritmo che cresce fino alle percussioni finali, alla gioia, allo slancio del movimento puro. Nonostante la bravura dei danzatori e l’audacia dei musicisti, l’atmosfera rarefatta, l’astrazione e il manierismo delle coreografie rende lo spettacolo freddo e poco coinvolgente. Per capirne di più, partecipiamo all’incontro con il regista. Le sue teorie, le sue spiegazioni si rivelano più interessanti dello spettacolo stesso. Scopriamo che telecamere nascoste catturavano il movimento dei danzatori e lo traducevano in suono attraverso sensori. Thierry De Mey spiega che le luci scelte per lo spettacolo sono frutto di un campionamento di immagini tratte dalla natura. Una foresta in autunno, un temporale nel mare del Nord, una tempesta di sale sul mare di Aral provoca l’evoluzione della luce sulla scena. Scopriamo che SIMPLEXITY è un progetto di ricerca che dura da anni. Il fine è quello di creare una tassonomia del movimento attraverso la traduzione in modelli digitali di strutture di movimento esistenti in natura. Strutture coreografiche quindi che sono astrazioni del volo di un uccello o dei rapidi movimenti di un rettile. Scritture musicali che sono traduzioni in codici complicatissimi del movimento compiuto dai danzatori. La musica dei gesti come la chiama De Mey. Una teoria e una linea di ricerca molto interessanti, in cui però il piano tecnologico supera di gran lunga quello estetico. Ci auguriamo che in futuro questo artista possa trovare una sintesi più efficace tra forma e vita e che l’arte possa co-abitare con la tecnologia senza esserne ingoiata.
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VANESSA SORRENTINO
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Simplexity – La beauté du geste, di Thierry De Mey. Visto sabato 21 maggio 2016 al KAAI theater di Bruxelles – info: kfda.be
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