«Complice la malattia, tra un ricovero e una convalescenza, in tour si impose CSI, e la tecnica dettò legge. Sul palco ottomila watt di basso martellante, chitarra armoniosa e chitarra disturbata, tastiere e pianoforte mezza coda, batterie e percussioni, una voce d’angelo a contenermi e ad aggraziarmi – bello, molto bello, oggi è domenica, domani si muore, e arriva il Lunedì» – criptico ma nemmeno troppo, queste parole le scandisce Giovanni Lindo Ferretti a prologo di Per me lo so in A cuor contento (2012): la voce d’angelo che contiene e aggrazia era naturalmente di Ginevra Di Marco. Quella band così importante ora non esiste più, sebbene le varie schegge ne portino ancora in giro la fiaccola – e fra costoro si distinguono Ginevra e il suo compagno Francesco Magnelli («Tastiere e pianoforte mezza coda» ma sopratutto Magnellophoni), lui ombra costante di lei, che già da prima di lasciare (fuggendo?) i PGR di musica ne hanno fatta tanta, a partire da Trama tenue (1999) fino al repertorio di Mercedes Sosa, cantante argentina simbolo della sua terra e della lotta per la pace e i diritti civili che il duo fiorentino sembra davvero amare incondizionatamente – tanto che in questi giorni, confidano, stanno proprio registrando un album tributo alla scomparsa artista (già oggetto di loro sortite dal vivo, peraltro).
Un po’ di tutto ciò è ridotto in questa esibizione che Di Marco featuring Magnelli hanno regalato nell’ambito di una manifestazione a tema, precisamente la Festa per la Libertà dei Popoli di Cassano d’Adda (Milano), festa per chiunque dove tutti si divertono, ballano, si emozionano ma, toh, non è un reality show anche se siamo nel 2016 e tutto lo sembra – semmai un vero concerto folk nell’accezione più ampia. Lei ha la solita voce possente e di granito senza mai un cedimento, molto aggraziata nel modulare, che (cosa rara per una cantante italiana d’oggi) non scimmiotta senza stile colleghe di natali anglo-americani e che sa dare valore a quello che canta – mentre il background è perfettamente equilibrato fra i suoni avveniristici del compagno e quelli del folletto multiuso Andrea Salvadori, senza scordare l’apporto ritmico di Luca Ragazzo.
Lo spettacolo è un turbine che non si fa mancare niente: un paio di Mimmo Modugno come Amara terra mia e La malarazza, canti balcani e rumeni, Amandoti dei CCCP, Mercedes Sosa, canzoni tradizionali toscane-campane-emiliane, Ederlezi di Goran Bregovic che già brillava con i CSI per voce di Ginevra. Uno spettacolo multicolore e multiforme con comunque molta coerenza e soprattutto con l’impressione che la Di Marco e i suoi credano fermamente in quello che stanno proponendo. E se dobbiamo trovare un momento più bello degli altri, scegliamo la già citata La malarazza, rielaborazione di una poesia siciliana ottocentesca, presentata in maniera davvero trascinate: Ginevra la possiede in maniera impeccabile fra voce e presenza scenica, il gruppo le sta dietro poderoso e il pubblico non fa altro che cantarla in coro saltando – che avrebbe pensato il venerabile Mimmo davanti a tutto ciò? Non sappiamo dire – ma sicuramente vi è che: «Tu ti lamenti, ma che ti lamenti?/Pigghia nu bastoni e tira fora li denti!/Tu ti lamenti, ma che ti lamenti?/Pigghia nu bastoni e tira fora li denti!».
CICO CASARTELLI