In America usano il termine royalty, nobiltà – che per Carlene Carter calza a pennello: figlia di June Carter e di Carl Smith (grande countryman esploso negli anni Cinquanta e, fra l’altro, grande amico di Hank Williams), figliastra di Johnny Cash, diretta discendente di A.P. Carter (con Jimmie Rodgers, accreditato dell’invenzione della country music) e cugina dell’ex Presidente USA Jimmy Carter. Non vi basta? Okay, ben quattro matrimoni fra cui quello di una dozzina d’anni con Nick Lowe (Brinsley Schwarz, Elvis Costello, Little Village) e una lunga relazione con Howie Epstein di Tom Petty & The Heartbreakers finita malissimo con la morte di lui causa droga. In poche parole, se la splendida signora Carter inizia a raccontarla non smette più. A tutto ciò, naturalmente, accostare la musica: un carriera in proprio iniziata a fine anni Settanta che nel tempo ha avuto grandi soddisfazioni artistiche e commerciali, con dischi dove fanno anche capolino davvero grandi nomi, vedi i Rumour, Dave Edmunds, vari Heartbreakers, Bob Dylan, Elvis Costello, Kris Kristofferson, Levon Helm, James Burton, Dwight Yoakam, Willie Nelson – se non è nobiltà questa, spiegateci qual lo sia allora. Aggiungiamo pure che il suo ultimo album, Carter Girl (2014) prodotto magnificamente da Don Was, è di quelli che fanno rinascere una carriera, dopo anni tormentati – e il quadro è completo.
Il peperino sexy di decenni fa adesso è una signora tutta classe e grinta che davvero merita i gran plausi che le sono stati riservati – tanto che davvero è molto bizzarro constatare che quando si parla di roots music, di Americana o di come-la-chiamano-dalle-vostre-parti, quando si nominano personaggi come o Carlene o Rodney Crowell o Marty Stuart il finto-esperto di turno puntualmente cade dalle nuvole – poi, però, sempre il finto esperto di turno è sempre pronto a sperticarsi per qualche “vicino di casa”. Lei, la signora Carter, mette lì due parole fra una canzone e l’altra e ti accorgi della differenza: «Ero una bambina e con mia madre June, mia nonna Mother Maybelle e mia zia Anita giravamo il Paese – io ho avuto il privilegio di vederle sera dopo sera e tutto quello che volevo era essere una Carter girl – eccomi!», grida fiera a metà concerto. E tanti saluti ai “vicini di casa”.
Il Trucker & Country Festival di Interlaken, giunto alla 23ma edizione purtroppo bagnata da pioggia a catinelle che comunque non ha compromesso alcuna performance, ha ospitato uno dei pochi concerti europei del tour a supporto di Carter Girl – e la fortuna di avervi assistito è davvero tangibile. Carlene sul palco ha lo smisurato talento della madre, è un’assolutamente rimarchevole intrattrenitrice nata fra grande voce, classe di performer ed eccellente polistrumentista qual ella è – con tanto di repertorio che fra pezzi suoi e quello di famiglia è puro granito. E senza scordare una band di primissimo livello capitanata nientemeno che da Robbie McIntosh, asso della sei corde (la Telecaster sembra un’estensione delle sue braccia!) per tanti anni accanto a Paul McCartney e più di recente con Tom Jones, nonché gruppo dove compare pure il quarto e attuale marito Joe Breen, con il quale Carlene regala diversi eccellenti duetti-pantomima.
A dominare l’intero set è naturalmente il più recente album, e con tutta ragione: il lavoro è davvero un fulmine a ciel sereno e pure l’esposizione in concerto lo conferma. Vedi come brillano Little Black Train, Me And The Wildwood Rose, lo stupendo gospel pianistico Lonesome Valley 2003 (espressamente dedicato alla madre), il toccante traditional Black Jack David classico della Carter Family (e che hanno fatto in molti fra Bob Dylan, l’Incredible String Band e i White Stripes), Troublesome Waters – anche se su tutti i numeri svetta Tall Lover Man, murder ballad capolavoro del repertorio appunto di June Carter che Carlene rifà maestosa e profonda com’è appunto incisa nel disco.
La Famiglia Carter è altrettanto rappresentata da Will The Circle Be Unbroken che davvero fa vibrare la platea e dalla magnifica perfezione di Wildwood Flower, così come Ring Of Fire che più di così nel suo DNA non potrebbe essere: è immortale per voce del suo patrigno Johnny Cash, la scrisse sua madre June (con il grande Merle Kilgore, è bene ricordare) e per prima la incise la zia Anita. Del suo più stretto repertorio, sfavillano Every Little Thing, Easy From Now On, My Dixie Darlin’ e il gran duetto con il marito Baby Ride Easy – e a proposito di duetti fuoco e fiamme con il compagno, altro gran colpo assestato è Jackson, showcase perfetto che accese pure i repertori di Johnny & June così come di Lee Hazlewood & Nancy Sinatra. Chiuse le danze, di ritorno sotto la pioggia battente il pensiero che fa eco è uno solo: di concerti di questo livello ve ne sono sempre meno, pertanto lunga vita a Carlene e alla vera country music che lei rappresenta non solo per diritto dinastico ma per manifeste qualità artistiche.
CICO CASARTELLI