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Da un po’ di tempo sperimento, per una parte dei lavori che incontro, una modalità di restituzione che funziona così: durante gli spettacoli prendo alcuni appunti sul mio taccuino. Inevitabilmente (anzi: intenzionalmente) frammentari.
A seguire li ricopio qui.
Nessun approfondimento.
Alcuni lampi.
Qualche artista vanitoso ogni tanto si offende, perché la sua ricerca «richiederebbe ben altra attenzione» rispetto a queste poche righe.
Pazienza.
Mi consolo in anticipo con Ennio Flaiano: «Il segreto è raggiungere da professionisti la disinvoltura dei dilettanti, non prevalere, far credere che la cosa sia estremamente facile, un divertimento che trova la sua ragione di esistere nel fatto di essere più leggero dell’aria».
Buona lettura.
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In canto e in veglia
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Le presenze leggere, quiete, sorridenti.
Avambracci illuminati, corpo buio. Linee spezzate, biologia. Ritmo, ritmo.
Il canto interrotto e poi ripreso.
Una contafiabe con il mantello nero. Sedia di legno, fondale chiaro a tre ante.
Avremmo potuto ridere, ridere molto di più.
Alternanza di parole e corpo. Giustapposizione paratattica di materiali testuali, sonori e visivi. I fili si annodano nella mente dello spettatore, o meglio: nella sua esperienza.
Come faccio a ricordare così bene il viso della fornaia e non il tuo?
Rivolgersi a un assente. Parlare con i fantasmi.
«Si domandò se un ricordo è qualche cosa che abbiamo o che abbiamo perduto», fa dire Woody Allen alla voce off di un’altra figura intensa e dolente, la protagonista del suo capolavoro Un’altra donna.
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Le figure incarnate da Elena Bucci: reali e fantasmatiche.
Alexander Baumgarten nel 1735, in un breve trattato pre-Aesthetica, ragiona sulle idee, distinguendole tra noetà (quelle “pensate”) e aisthetà (quelle “sentite”), a loro volta suddivise in sensualia (le sensazioni percepite col corpo, qui e ora) e phantasmata (le “sensazioni assenti”, di cui resta traccia nella memoria o che sono prodotte dall’immaginazione). Lì, nella fessura tra sensualia e phantasmata (tra il qui e l’altrove, si potrebbe dire), si collocano queste evanescenti e concretissime anime.
C’è soltanto un mistero da attraversare.
Le luci di Loredana Oddone creano mondi. Carnoso. Glaciale. Spettrale. Ardente. Lontano. Fotografico. Tridimensionale. Barocco. Duetto per attrice e luci. Con un’attrice così, che non deve essere mica facile starle al passo. Chapeau.
Testo è flusso di coscienza, vaneggiante e vagheggiante. Animula vagula blandula.
Stare in faccia alla morte, e per smisurato timore riempire il vuoto di parole, là dove forse solamente il silenzio sarebbe possibile. Horror vacui. Vita e arte, arte e vita.
Guanti di raso bianco che arrivano al gomito. Un vestito da sera con il top di paillettes intarsiate.
Si rivolge a un tu, lo invoca: laica, smisurata preghiera.
Voglio ridere di te. E voglio piangere di te.
Luci gialle, luci pastello.
Ginocchia divaricate e piegate, sta salda e dice: molta forza, molti colori.
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Mirella Schino e la Duse come “super-personaggio”. Il suo usare elementi di una parte per altre parti. Arrivare a una sorta di “dramma continuato”, di vero e proprio “repertorio-canzoniere”. Una serie di opere (le rappresentazioni) che hanno vita a sé, ma che possono anche proporre una lettura diversa, in sequenza. Come se i singoli frammenti/personaggi fossero le parti emergenti, le diverse fasi di sviluppo di un romanzo o di un ciclo sommerso. Marco De Marinis docet.
Elena come Eleonora, super-personaggio? Il dolorismo c’è. Ma la Bucci ha anche una gran bella, salvifica ironia. La Duse, chissà.
Fin da piccola cantavo agli animali per consolarli della loro futura sparizione.
Allarga il mantello, ecco che fa capolino la Madonna della Misericordia di Piero della Francesca e la Silvana Cenni di Felice Casorati.
Dov’è quel canto che riporta indietro il tempo?
Luci con sfumature blu, fucsia, verdi. Come vecchie fotografie venute male. Altri fantasmi. Racconti della Zaira. Canti. Voci registrate.
Centocinque chili di Zairona.
Ombre arancioni.
Se chiamo i vecchi nomi, non mi risponde nessuno.
Elenco di modi per uccidersi: la vertigine della lista. Il monologo di Amleto, registrato.
«Il narratore -per quanto il suo nome possa esserci familiare- non ci è affatto presente nella sua viva attività. È qualcosa di già remoto, e che continua ad allontanarsi»: Walter Benjamin parla di Leskov. E non solo.
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Io vorrei capire dove si è strappato il filo di quel canto.
Ripetiamo la nostra vita all’infinito, finché non capiamo.
Le luci a puntini riflesse da una palla di specchietti da discoteca stile anni Ottanta.
Quante volte dovrò sentire il male di una medesima amputazione.
Sentire il male. A proposito della Duse. A proposito di fili.
Rosso fuoco e stelle.
Per arrivare a quello che non sai devi andare dove non sai.
Il fondale a tre ante progressivamente si chiude, come un libro.
Chi passa? Chi va?
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MICHELE PASCARELLA
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Visto l’11 maggio 2016 al Teatro Antoniano di Bologna – info: iteatridelsacro.it, lebellebandiere.it
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Ripetiamo la nostra vita all’infinito, finché non capiamo
Quante volte dovrò sentire il male di una medesima amputazione…finché non capisco?
con bene. michele mio. con bene
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