Hugo Race, l’instancabile Hugo Race. Ogni tanto è bello fermarlo e interrogarlo sui suoi mille progetti, che in questi giorni lo vedono pubblicare un disco con i Fatalists aka Sacri Cuori (24 Hours To Nowhere) e suonare in Italia e in tutta Europa con i True Spirit. Se siete fan dell’artista australiano, questo incontro-intervista è un buon modo per riflettere sulla sua musica e sul suo mondo. Per una volta non si parla di Nick Cave (il solito blah blah blah dei media a proposito dell’ex Bad Seed Hugo Race di cui non si può altro che essere stanchi!) – ma fra i mille argomenti affrontati troverete anche il suo personale ricordo dell’antico amico Jeffrey Lee Pierce (Gun Club). Accomodatevi e buona lettura.
Ho letto nelle note di presentazione a 24 Hours To Nowhere che il disco ti ha preso una anno per la scrittura ma appena una settimana per inciderlo. Un anno per scriverlo: stavi cercando un concept che legasse tutti i brani?
Il disco è come se davvero fosse uscito da nessun posto. Non avevo ben chiaro da dove arrivasse l’ispirazione finché non ho scritto i primi brani – No God In The Sky e Until You Surrender – e a quel punto ho capito che sarebbe stato un viaggio sperimentale nel mondo interiore della memoria e dell’emozione. L’unico modo per scrivere un disco del genere era di farlo esclusivamente per me stesso – pensavo che avrebbe fatto lo stesso se lo avessi pubblicato o no, ciò che mi importava veramente era che si misurasse con la mia personale visione di quello che per me è il quotidiano cosmico mistero di vita e di morte. Potrebbe essere visto come una lettera, a me stesso – come se volessi spiegare i miei pensieri – ma anche scritta alla mia compagna e, in verità, non solo a lei ma anche parzialmente scritta da lei siccome abbiamo scritto tre brani insieme.
Continua…
Per quanto mi riguarda, la cosa importante è l’atmosfera. Non cerco mai di spiegare granché attraverso i dettagli ma, piuttosto, di creare un umore o anche un film attraverso i sentimenti dell’album e il modo in cui le canzoni fanno eco una con l’altra. Così tutto diventa un modo a se stante e l’unica fonte certa in questo posto sono i sentimenti e le immagini. Musicalmente, come tutti gli altri dischi con i Fatalists, è essenzialmente un lavoro acustico, e le canzoni deve essere possibile eseguirle anche con giusto la chitarra, perché il concetto che sta dietro i Fatalists è sempre stato un’estensione di quando ho iniziato a esibirmi con solo chitarra slide e sampler. Questo tipo di approccio determina come scrivere le canzoni e, inevitabilmente, porta a quello che potremmo chiamare musica folk, una specie di minimalismo senza tempo – e creare qualcosa che sia senza tempo è certamente nei miei scopi. Fatalists è un concetto che si espande dalla singolarità d’essere un solo performer. E l’ispirazione di tutto ciò viene certamente da artisti di una generazione a me precedente – gente quale Bob Dylan, Tim Hardin, Tim Rose, Fred Neil, Leonard Cohen, Paul Simon, Johnny Cash, direi anche Nick Drake, tutti nomi che hanno scritto cose a un livello davvero intimo a proposito del caos delle loro rispettive vite ma anche di altro come la sofferenza e la politica.
Quindi, musicalmente, l’ispirazione arriva da ciò che hai appena detto…
In tutto questo, pensando al disco, potevo udire orchestrazioni, arrangiamenti di archi e tutto il resto, ma non volevo affrontare il lavoro in un modo scontato. In cerca d’ispirazione ho ascoltato, per esempio, molti compositori di musica contemporanea est europea.
In 24 Hours To Nowhere mi ha davvero sorpreso trovare Angie Hart dei Frente!, un gruppo australiano che ricordo piacermi negli anni Novanta. Come e perché l’hai coinvolta?
Stavo cercando la ragazza giusta per cantare nel brano guida – il pezzo è stato pensato come duetto, visto che la narrazione è vista da due diversi punti di vista. Strano che sia, ho avuto davvero problemi a cercare la cantante giusta. Ho parlato con diverse cantanti ma nessuna è andata a buon fine, principalmente perché volevo che la cantante fosse presente in studio per la registrazione. Pensa che ho incontrato Angie Hart a un funerale, quello di un comune amico – e l’occasione è sembrata molto più che un semplice incontro casuale. Angie è un grande cantante, una voce autentica e il fatto che fosse nei Frente! con quel loro repertorio allegro in un certo modo, per contrasto, ho pensato fosse perfetta per lo scenario oscuro del disco. Alla fine ha cantato in due brani – e l’aspetto femminile del lavoro era davvero importante per la visione d’insieme che ne avevo.
Nel disco vi sono due cover, Ballad Of Easy Rider dei Byrds e It’ll Ever Happen Again di Tim Hardin. Dato per scontato che stiamo parlando di due capolavori, cosa ti ha spinto a pensare che funzionassero in 24 Hours To Nowhere?
Il disco ho iniziato a pensarlo a Brisbane, nello studio di un amico – e il tempo lo abbiamo passato ad ascoltare vecchi album per entrare nel giusto mood, cose tipo José Feliciano, Sixto Rodriguez e altri nomi meno famosi di questi, basta che fossero in vecchi vinili consumati e pieni di polvere. Ballad Of Easy Rider e It’ll Ever Happen Again sono brani che amo da molto tempo e, a dire il vero, sono stati i primi incisi per quest’album, come fossero stati scelti per dare il giusto umore al lavoro, direi per marcare il territorio. L’intera colonna sonora di Easy Rider fu un album molto importante nei miei anni formativi e, anzi, credo che molti dei miei album siano un tentativo di rifarsi ai brani di quel disco, con tutta l’emozione e anche il pericolo che si portava dietro.
Ti confesso che nel mio iTunes ho una playlist con solo Hugo Race che fa cover. Quella di incidere brani altrui è un bisogno o un un divertimento? In meri numeri, in tutti i tuoi album conto una quarantina di cover…
Accanto al disco No But It’s True, che è tutto di cover, io e i True Spirit lo scorso anno in Australia abbiamo messo in piedi uno spettacolo chiamato Roots Of HR, che era fatto di una quindicina di cover. Davvero, vi è una fascinazione irresistibile nel lavorare al materiale scritto da altri e presentarlo in modo tuo – e questo principalmente è dovuto al fatto che l’ascoltatore già si porta appresso dei nessi, cosa che ti permette di lavorare con concetti e generi in modo molto evocativo. Chiaramente io ho scritto e scrivo molti pezzi ma vi è molto più dei miei brani che voglio esplorare nella musica. Lo sapevi che io e Michelangelo Russo, il mio partner nei True Spirit, abbiamo un piccolo spettacolo dove facciamo solo il repertorio di John Lee Hooker? Ce lo tiriamo dietro fin degli albori dei True Spirit, e per noi è pura fascinazione! Ti anticipo che proprio alla fine di quest’anno incideremo un disco con quel materiale.
True Spirit, Sepiatone, Fatalist, Dirt Music – stai per caso seguendo la tecnica di Neil Young di avere band diverse per ognuno dei tuoi umori musicali?
Sai che forse, istintivamente, è così? In ogni collaborazione vi è qualcosa di unico e di prezioso. È chiaro che i miei interessi musicali siano molto vasti e ogni collaborazione mi dà accesso a una sorta di universo parallelo. I Fatalists sono essenzialmente acustici, i True Spirit elettrici ed elettronici, e così via – sebbene io tenti di mantenere un certo senso d’identità quanto di separazione fra i differenti progetti.
Solo a contare quanti dischi hai pubblicato fra il 2010 e oggi, vi sono più di dieci album che ti vedono protagonista: come fai a essere così prolifico? E che cosa rispondi a chi ti accusa di essere troppo produttivo?
Guarda, è semplice: quella è semplicemente la mia velocità di crociera. Negli anni Sessanta gli artisti buttavano fuori tre o quattro album per anno. Non seguo né tecniche né programmi – vivo semplicemente in uno stato di azione e di reazione rispetto alle ispirazioni che sento, e il tutto non ho idea davvero di dove arrivi. È certo che questi anni siano il più produttivo dei miei periodi – semplicemente non impedisco che ciò accada. Viviamo, e tutto potrebbe finire giusto domani, no? Creo la mia musica prima che il mondo esploda o che i mercanti discografici vadano a sbattere o brucino, prima che la prossima guerra mondiale distrugga tutto. Sento l’urgenza di tutto questo, ecco. Non mi piace l’idea che fra un disco e l’altro io possa finire a collezionare proprietà o a giocare a golf: non ho mai avuto grandi successi commerciali e, quindi, non ho una pensione per quando mi ritirerò. Mi interessa il presente, cosa succede adesso – non me ne frega niente dell’idea convenzionale di quanti dischi dovrei pubblicare. Qui non ci sono né boss né manager, solo musica e creatività.
Questo è il terzo album con i Fatalists aka Sacri Cuori, quarto se contiamo l’EP Orphans – cosa ti piace nel lavorare con loro?
Siamo amici e abbiamo oramai molta storia comune. Ma a parte ciò, i Sacri Cuori sono dei musicisti molto brillanti. E poi credo vi sia un sound davvero peculiare che sono riuscito a produrre insieme a loro. Direi che è un classic sound, non nel senso della musica classica bensì classico in termini di come si ispira alla musica americana, specie quella delle colonne sonore, dei cantautori e di tutto il mondo roots – tutto naturalmente con quella piega vintage della musica italiana che è nel DNA dei Sacri Cuori. È interessante notare che i Sacri Cuori non esistevano quando i Fatalists iniziarono, e questa è un’evoluzione davvero intrigante. I Fatalists iniziarono quando io e Antonio Gramentieri cominciammo a fare concerti insieme una decina di anni fa, con un repertorio fatto di miei pezzi e di cover. Di lì, Fatalists e Sacri Cuori sono evoluti parallelamente – ed è bello poter pensare di entrare in studio per pochi giorni e registrare qualcosa di complesso come credo sia 24 Hours To Nowhere.
L’Italia sembra essere una seconda casa per te – Fatalists, Merola Matrix, Sepiatone, Cesare Basile. Cosa ti piace così tanto di qui, e per piacere non mi rispondere pasta e donne?!
Ah, è una cosa che va indietro nel tempo. All’inizio, a portarmi qui sono stati dei legami famigliari, dopodiché sono cominciati i miei legami musicali con artisti italiani. Come sai, per diversi anni ho vissuto part-time a Catania, specie per via dei Sepiatone. Poi, arrivando io dall’Australia, ho sempre avuto bisogno di una casa europea dove potermi appoggiare. Negli anni Ottanta ho vissuto brevemente a Londra, poi ho passato sei o sette anni a Berlino, dopodiché ho girovagato ma sempre passando periodicamente in Italia. Come dire, arrivare in Italia, e in Sicilia in particolare, mi dà una sensazione di déjà vu – come se in un’altra vita avessi vissuto qui. Poi è bello arrivare in un posto e smettere di vederlo con gli occhi del turista come mi capita in Italia, che trovo essere un luogo che mi regala grande ispirazione, iniziando dalla complessità direi bizantina del vostro mondo. In Italia ho amici e lavoro – mi sento connesso con tutto e soprattutto mi sento lontano da ciò che io chiamo la noncuranza del mondo anglosassone.
True Spirit – come ti senti a essere tornato a incidere e a suonare dal vivo con loro dopo tutti questi anni? Disco e tour sono solo una celebrazione della vostra storia passata oppure la reunion è da prendere come una nuova partenza?
Reputo che con i True Spirit vi sarà un altro album – dire sicuramente. Stare lontano uno dati altri per tutti questi anni ci ha, in qualche modo, rivitalizzati e mi ha dato possibilità di riflettere su quanto fatto insieme in passato. Dei True Spirit adoro quella che io chiamo selvaggia e collettiva energia di gruppo: nessun con cui ho suonato ce l’ha a questi livelli, con quel senso di misurata anarchia. Spirit, il disco che abbiamo fatto lo scorso anno è stato il primo che davvero abbiamo scritto tutti insieme, e credo che sia quella la ragione per cui suoni così bene.
Posso dirti che trovo alquanto bizzarro che mentre sei in tour con i True Spirit tu pubblichi un disco con i Fatalists. Problemi di programmazione o cosa? Hai comunque piani di tour con i Fatalists?
No, niente problemi di programmazione: semplicemente 24 Hours To Nowhere era pronto per essere pubblicato e la casa discografica disposta a buttarlo fuori. D’accordo, due cose stanno accadendo nello stesso momento, ma la cosa ha senso se sei sull’asse Roma-Melbourne come capita costantemente a me. In ogni caso, ti anticipo che i Fatalists torneranno a suonare dal vivono fra Giugno e Luglio, anche se il vero e proprio tour per 24 Hours To Nowhere credo sarà fatto in autunno.
Recentemente hai fatto un’apparizione nell’ultimo disco di Masimiliano Larocca, che è tutto dedicato a Dino Campana, uno dei veri grandi poeti moderni italiani ed europei. Hai avuto modo di approfondire la sua opera?
In verità, non ancora – ma mi sono ripromesso di farlo appena i miei impegni musicali si prenderanno una pausa. Però ho sentito il disco di Larocca e ti posso dire che davvero lo trovo magnifico.
Per concludere, quest’anno fanno vent’anni da che è scomparso Jeffrey Lee Pierce, il leader dei Gun Club. So che sei stato un suo buon amico – ti spiace darci un tuo ricordo di Jeffrey? Peraltro, la prima volta che io ti ho visto dal vivo fu proprio quando tu apristi per lui al Bloom di Mezzago, negli anni Novanta…
Cosa ti posso dire… Jeffrey aveva un’energia che mi vien di dire fosse spettrale. Aveva un’aura di persona diversa, già la prima volta quando lo incontrai a Melbourne nel 1982 con i Gun Club. Ti dico la verità, quando Jeffrey morì la cosa mi amareggiò molto ma nel contempo non mi sorprese. Dopo aver fatto diversi concerti con lui, tipo quello che rammenti tu al Bloom, mi fu chiaro che non si sentisse bene per nulla. L’ultima conversazione con lui la ricordo chiaramente: capitò in Slovenia nel 1995 in un ristorante, fuori era nebbioso e freddo, e noi eravamo in quel posto completamente vuoto e riscaldato da un camino – parlammo molto di New York negli anni Ottanta – di quanto, per esempio, una notte ci facemmo il giro di diversi club jazz e in uno di questi incontrammo Pharaoh Sanders.
CICO CASARTELLI
HUGO RACE & TRUE SPIRIT in concerto: Reasonanz – 30.05 Caserta, Jarmusch – 31.05 Vicchio (Firenze), private show – 01.06 Bologna, Covo D’estate – 02.06 San Paolo d’Argon (Bergamo), Azienda Vitivinicola – 03.06 Milano, LoFi
HUGO RACE & FATALISTS – 24 Hours To Nowhere (Glitterhouse Records)