Il teatro Rasi di Ravenna ha ospitato il 31 marzo la prima nazionale di Anatomia, nel quale la danzatrice e coreografa Simona Bertozzi ha espresso, attraverso il movimento, l’idea di integrità e allo stesso tempo di divisione del corpo umano.
Lo spettacolo, della durata di circa un’ora, si è svolto in un palcoscenico favoloso e molto suggestivo: una sorta di chiesa medievale.
Anatomia è composto da tre linee, a tratti sovrapposte e a tratti disgiunte: quella musicale, quella scenografica e il movimento, ovvero la danza.
La scena si è aperta con la musica di Francesco Giomi. La cosa diversa rispetto ad altri spettacoli è stata la sua figura all’interno della scena. Giomi interagiva con la danzatrice, in alcuni momenti, staccandosi dalle apparecchiature elettroniche e assumendo posizioni speculari e complementari a Simona. I suoni erano davvero strazianti, a volte assordanti, striduli, fastidiosi. Il tutto si incastrava alla perfezione: la musica non era di sottofondo, ma parte integrante dello spettacolo. C’era un corpo musicale e un corpo-suono (incarnato da Simona), come se il corpo del suono si impossessasse di lei e la facesse muovere. Corpo fisico e corpo del suono si mescolavano, si fondevano e non si capiva chi influenzasse cosa, se il corpo la musica o la musica il corpo. Nell’assenza quasi di filo logico, tutto tornava. L’atmosfera che suscitava il tutto era confusione, angoscia nel non capire esattamente il senso, il messaggio non era chiaro e trasparente. Che cosa mi vuole dire?
A questa musica si associavano luci colorate che facevano da sfondo alla coreografia, creando un’atmosfera infernale , in cui una danzatrice si dimenava, quasi posseduta da forze demoniache.
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La coreografia di Simona Bertozzi è stata qualcosa di sovraumano, non di questa terra.
I suoi movimenti erano spezzati, rigidi, asimmetrici; a tratti sembrava che le varie parti del suo corpo fossero autonome, indipendenti, fuori controllo. Una forza grande muoveva il tutto, ma non contemporaneamente, rendendo l’idea dei muscoli, dei tessuti, delle ossa. Si percepiva l’intenzionalità di trasmettere rigidità e a volte plasticità al corpo umano. Movimenti complessi, forza fisica e enorme tonicità mi hanno affascinato e stupito allo stesso tempo. Erano evidenti il grande lavoro, l’allenamento e la fatica. La musica così forte, violenta e assordante era in sincrono con i movimenti schematici e rigidi di Simona. A volte si udivano parole che richiamavano il corpo umano: ossa, tendini, sinapsi, …
I movimenti ricordavano la trasmissione di impulsi elettrici tra una cellula e l’altra, ecco! Movimenti di particelle minime interne che cercano di essere tradotti al di fuori del corpo.
Non riuscivo a staccare gli occhi dai movimenti di Simona, che sembravano cosi in sincronia con il tutto: con l’ambiente, con la musica pulsante, con le luci forti. Il suono pulsava energia e batteva all’unisono con il respiro e i movimenti della danzatrice.
Uno spettacolo molto originale, unico nel suo genere e con un’idea così diversa dalle solite tematiche: l’anatomia, la divisione dei vari segmenti di corpo, e in alcuni momenti l’integrità di essi.
Uno spettacolo che, grazie alla grande maturità da parte di chi lo ha ideato, ha avuto il coraggio di dire: «Ho un’idea in testa, ma il pubblico si deve sforzare di dare una interpretazione libera, nuova».
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GIULIA SAVIOTTI
Visto al Teatro Rasi di Ravenna il 31 marzo 2016
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