Pere Ubu, la guerra dei mondi

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Guardi le foto dei Rocket From The Tombs o dei Pere Ubu epoca primi singoli/Modern Dance (1978) e in David Thomas ti sembra di vedere Orson Welles ai tempi de La guerra dei mondi – una somiglianza fisica che nei decenni si è evoluta (allargata, vista la stazza di uno e dell’altro?) di pari passo con la figura del regista. Caso o strana metamorfosi, il Re Ubu è davvero l’Orson Welles della musica contemporanea: incompreso, sempre in fuga, Shakespeare-iano, autodistruttivo, mente sopraffine, lacerato ma capace di mettere in piedi opere che sanno di impareggiabile genio.

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Eccolo, duro a morire con i Pere Ubu in perenne mutazione ma anche provato fisicamente dopo anni di abusi, probabilmente giunto al suo personale punto di non ritorno – che può comunque contare sul rientro di due elementi del passato come Michele Temple e Tom Herman: lui, David Thomas rantola sempre come un Tim Buckley fatto per essere punk lunare che da Cleveland, Ohio si sedette sul trono della New York della Bowery spartendosi il primato con qualche contemporaneo come i Ramones, i Suicide e i Talking Heads. E senza voler fare la classifiche che sono anche disturbanti nel loro eccedere con monotematici cliché, è chiaro che non solo la musica degli Ubu e di Thomas in genere non solo fu fra le più rivoluzionare ma è stata anche fra quelle capaci di evolvere meglio e con duraturi margini di manovra, musica capace di mutare sfiorando un po’ di tutto senza mai pentirsi di nulla, da Mayo Thompson a Richard Thompson, presa in un’impagabile bulimia.

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Serafico come sempre, David Thomas una volta spiegò che «La musica rock è per lo più spostare grandi casse nere da una periferia di città all’altra nel retro di un van» – anche in quest’occasione non fatichiamo a seguirlo, in fondo a uno così bisogna dargli retta – anche perché non crediamo gliene freghi molto di quale periferia egli si trovi, oggi o domani. Però sarebbe bello potergli altrettanto dire che ogni volta che ce lo troviamo davanti, l’evento è sempre speciale – e qui ha fatto di tutto perché lo fosse, nonostante gli acciacchi. Lui e i suoi Ubu dal vivo sono ancora dediti al radicalismo che li ha resi grandi, capaci di farti ingerire in ogni caso musica irripetibile, sia essa quella dell’ultimo disco (Carnival Of Souls, 2014 – e non vi è loro album che non valga, e pure molto) oppure qualche concessione a un passato che definire leggendario è poco, tipo quando esplodono le note di numeri quali Heart Of DarknessModern DanceRhapsody In PinkDub Housing, fino a Final Solution che manda a casa tutti contenti e frastornati – sebbene sia mancata, e pure molto, la geremiade spastica di 30 Seconds Over Tokyo. Insomma, tutto sempre e comunque in gloria all’Ubu Re!

CICO CASARTELLI

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