Arthur Miller è probabilmente, insieme a Tennessee William, il maggior drammaturgo del secondo novecento americano. È da poco trascorso l’anniversario per i cento anni della sua nascita, a New York il 17 ottobre 1915, e i dieci anni dalla sua morte, avvenuta il 10 febbraio 2005. In coincidenza con queste ricorrenze sono stati proposti al pubblico italiano due importanti rappresentazioni dei suoi drammi.
Il suo indiscusso capolavoro, Morte di un commesso viaggiatore, è stato messo in scena del Teatro dell’Elfo di Milano. Segnaliamo che tornerà in tournée dalle nostre parti (era nel cartellone del Teatro Rossini di Lugo nella passata stagione) tra marzo ed aprile; non perdetelo è uno spettacolo memorabile.
Il prezzo è invece una sua opera minore, scritta nel 1968, nella fase finale della sua carriera. Nel nostro paese è stato rappresentato una sola volta (da Ralf Vallone, nel 1969) e solo di recente ha avuta una sua traduzione (a cura di Masolino d’Amico, per Einaudi).
Entrambi i testi sono ambientati nell’America del secondo dopoguerra. Un mondo apparentemente lontano dal nostro, eppure i drammi familiari raccontati, fortemente condizionati da un contesto di pesante crisi economica, accompagnata dalla fine delle illusioni di benessere e felicità, ci appaiono in qualche modo attuali.
Al centro de Il prezzo vi è l’incontro, dopo lunghissimi anni di lontananza, tra due fratelli, Victor e Walter. I loro destini si sono separati nel momento dell’ingresso nell’età adulta. Victor, pur essendo il più dotato dei due, decise di abbandonare gli studi per stare accanto al padre, piegato dalla vecchiaia e dal fallimento economico provocato dalla crisi del ’29. Ora veste i panni di un poliziotto che vive una grigia esistenza, segnata dalla disillusione per le tante aspettative non realizzate. Vive accanto ad una donna che non ha smesso di sognare gli agi del benessere ed è inacidita dalla frustrazione e dai rimpianti. Walter invece ha completato gli studi e si è affermato professionalmente e socialmente come medico.
L’incontro avviene nel vecchio appartamento del padre, morto ormai da parecchi anni. Lo stabile sta per essere demolito e occorre procedere allo sgombero. Sulla scena, oltre ai fratelli e alla moglie di Victor, Salomon, un vecchio rigattiere chiamato per valutare ed eventualmente acquistare gli arredi. L’incontro si trasforma ben presto in un acceso scontro, nel quale esplodono i risentimenti e i rancori covati nel tempo. Emerge, sullo sfondo, la figura di un padre che non ha esitato a manipolare i figli per perseguire i propri egoistici interessi. A regolare i tempi e i ritmi di questa resa dei conti è l’anziano Solomon.
Massimo Popolizio, uno degli attori prediletti di Luca Ronconi, oltre a curare la regia, interpreta il personaggio di Victor. Riesce a rendere con grande efficacia e forza quasi fisica il peso che egli è stato costretto a portare dalla vita, e che in fin dei conti e seppur a malincuore si è scelto. Umberto Orsini, a cui si deve la scelta del testo, ha riservato per sé il ruolo di Solomon che con le sue crudeli osservazioni, tanto impalpabili quanto efficaci nell’innescare odi e rancori tra gli altri personaggi, determina le azioni di questi ultimi fino alla catarsi finale, in cui diventa lecito dirsi tutto, anche quello che non si era riusciti a pronunciare in una vita intera. Di grande esperienza e levatura teatrale le prove degli altri due protagonisti Alvia Reale, anch’essa proveniente dall’esperienza del teatro di Ronconi, che interpreta la moglie di Victor ed Elia Schilton, di cui si ricordano le collaborazioni con Peter Stein e Carlo Cecchi, nel ruolo di Walter.
Aldo Zoppo e Dario Zanuso
Visto al Teatro Rossini di Lugo il 30 gennaio 2016