Come si può parlare di Dan Hicks a chi non lo conosce? Come si può trasmettere il messaggio a gente dedita praticamente solo a Bruce Springsteen che Dan Hicks, quietamente, è stato uno dei veri grandi della musica americana? Semplice – l’uomo se ne è andato giusto ieri (9 dicembre 1941 – 6 febbraio 2016), e nel nostro piccolo, ne celebriamo la musica, che siamo certi vivrà per sempre – perché quello che ha fatto l’imponente uomo coi baffi, fra Charlatans e Hot Licks, non è da appuntare come una semplice nota a piè di pagina della musica yankee.
Dan Hicks, New York 2010 – foto di Cico Casartelli
Dan Hicks ha vissuto glorie e momenti difficili grazie a una certa debolezza davanti alla bottiglia, è stato sulla copertina di Rolling Stone quando quel magazine si occupava veramente di musica, cavalcando i Charlatans con i suoi amici George Hunter, Mike Wilhelm, Mike Ferguson e Richie Olsen ha per davvero inventato il West Coast sound prima dei Grateful Dead, dei Buffalo Springfield o dei Jefferson Airplane, passato a guidare la baracca in proprio con gli Hot Licks ha inventato la canned music la quale non era altro che Cosmic American Music dove Dan iniettò dosi di old time jazz e di musica zingara dell’est Europa – in buona sostanza, con piglio sornione Dan Hicks è stato un vero rivoluzionario, di quelli quieti che (giustamente) sanno sempre di aver ragione.
Le idee chiare a Dan Hicks non mancavano – famosa in una quote l’immagine che aveva della propria musica: «Non è questione di moderno o di antico, è questione di questa o di quella nota, di quale suono sia migliore», potere delle sintesi dei grandi – quelli veri. Tutto ciò era chiaro anche a uno stuolo di fan dai nomi altisonanti che negli anni non hanno mai fatto mancare supporto incondizionato all’uomo di Hicksville: Arif Mardin, Tom Waits, Jerry Garcia, Elvis Costello, Bob Dylan, Brian Setzer, Bette Midler, Warren Zevon, David Grisman, Van Dyke Parks, Rickie Lee Jones, Ramblin’ Jack Elliott, Maria Muldaur, Neil Young – tutti suoi fan, senza riserva. Anzi, se prendiamo Tom Waits, che di Dan Hicks fino a poche ore fa era vicino di casa a Santa Rosa in California, bisogna proprio dire che se ne è ispirato al meglio: lo humor che il Bone Machine ha spesso espresso nei suoi testi era puro Hicks-ismo – lo sanno in pochi, ma lo sanno quelli giusti.
Senza voler fare liste della spesa che per quelle bastano Wikipedia e varie Enciclopedie, se interessa l’argomento Dan Hicks, il consiglio è di non farsi sfuggire la raccolta The Amazing Charlatans, che se la West Coast è la Bibbia qui si parla in termini di Genesi. E peraltro, i più arguti noteranno come l’iconografia dei Charlatans fu plagiata dagli Eagles di Desperado (1973) – stessi scenari di banditi di frontiera, ma quasi dieci anni dopo. Dopo i Charlatans, naturalmente, si entra nel mondo Hot Licks: i quattro dischi degli anni Settanta sono dei classici immancabili, forti sia di un sound sia di un repertorio assolutamente unico, capace di consegnare all’eternità numeri come I Scare Myself, Payday Blues e la programmatica Canned Music. L’oblio degli anni Ottanta, quando Hicks cadde in una forte depressione dove il consumo di alcol lo rilegò ai margini, è stato riscattato da un cosiddetto second coming fra i più belli e avvincenti degli ultimi vent’anni, con l’artista capace di regalare in scioltezza cinque album di studio pieni di fuochi d’artificio – immancabile il capolavoro con tante special guest Beatin’ The Heat (2000) – e tre dal vivo che sono una vera goduria – qui la menzione speciale va all’irresistibile Live At Davies (2013), testamento inciso alla Symphony Hall nella sua San Francisco, pure questo pieno di ospiti di rango.
Come last goodbye, non ci resta che esprimere un piccolo, personale rammarico: ossia, peccato che il regista Robert Altman se ne sia andato già da tempo, perché lui sì che sarebbe stato l’uomo perfetto per fare un docu-film che potesse raccontare vita, musica e miracoli di Dan Hicks. Così non è andata, ma va bene lo stesso – i due adesso ci piace immaginarli insieme sull’ultimo treno per Hicksville, naturalmente.
CICO CASARTELLI