Non mi capita spesso di parlare di saggezza contadina, un territorio ai confini con la superstizione e assai vasto da esplorare… Il calendario è una delle piste principali che si possono seguire per farsene un’idea: quasi non c’è giorno, quindi santo, che non sia significativo nell’agricultura arcaica.
Il 25 gennaio è una data cruciale, come ho scoperto per caso sfogliando Par mod d’un dî. Modi di dire romagnoli, di Umberto Foschi (Longo Editore Ravenna, 1975). La voce in oggetto, che vi riporto integralmente, è “Parê San Pevol di sègn”, cioè “Sembrare San Paolo dei segni”:
“Il modo di dire si riferisce ad uno che cambi spesso parere e che gesticoli in maniera eccessiva. Caduto ormai in disuso, dato il progressivo decadere delle tradizioni rurali, è legato al giorno della conversione di San Paolo che cade il 25 gennaio, dopo i primi dodici giorni chiamati calende dai quali si ricavavano pronostici per l’andamento dei primi dodici mesi dell’anno, e gli altri, dal 13 al 24, detti calandrèn, durante i quali si faceva, in senso inverso, la prova di quanto era stato precedentemente osservato.
Ora, il 25 gennaio era detto San Pevol di sègn perché, a seconda dell’andamento del tempo durante la giornata, si poteva prevedere, non già il clima, dedotto dall’analisi dei giorni precedenti, bensì le calamità o gli eventi fortunati destinati a colpire e a rallegrare, con le loro alterne vicende, gli uomini.
La nebbia, così frequente nella nostra piana, preannunziava mortalità per le persone e gli animali; il vento, durante la notte, era segno di discordie civili e di guerra; il tempo buono avrebbe significato abbondanza; quello cattivo malattie. Non ho, neanch’io che pure mi interesso di queste cose, fatto la “prova dei segni”, penso però che la variabilità propria di un giorno di gennaio possa rappresentare in maniera convincente la variabilità, spesso tendente al peggio, di un anno della biografia di un uomo e della vita della comunità.
Ma ci sono, sempre in questa giornata, altre credenze, penso oramai superate: le bisce si risvegliano brevemente per ricadere poi in letargo, il contadino impaurito bruciava allora le scarpe vecchie nella convinzione che tale rito sarebbe stato sufficiente ad allontanare dalla casa per l’intero anno ogni rettile velenoso. Credenze sciocche, diremo, ma erano tutte briciole di una fede antichissima cui si ancorava la vita.”