A dispetto del nome, Ulisse di rado ha lasciato la sua terra. Figuriamoci pensare di ritrovarsi a 90 anni suonati a compiere il passo forse più importante della sua vita. La sua è un’esistenza fatta di sacrifici e duro lavoro sui campi, con un solo compromesso: la fotografia. Questa incondizionata passione coltivata fin da ragazzo lo ha inaspettatamente portato ad attirare l’attenzione di Keith De Lellis: uno dei più noti galleristi di New York. De Lellis non ha badato a spese per corteggiare l’anziano e convincerlo a vendergli decine e decine di suoi scatti realizzati in gioventù.
Non che il gallerista, nel suo Olimpo allestito a pochi isolati dal Metropolitan Museum, a Manhattan, avesse bisogno delle foto di uno sconosciuto contadino autodidatta per fare compagnia a giganti come Nino Migliori, Man Ray, Robert Doisneau o Cecil Beaton, tanto per citare alcuni nomi custoditi negli spazi espositivi di Madison Avenue. Il suo – con immensa cautela – lo si potrebbe chiamare scouting; il gallerista americano era a caccia di un autentico spaccato del Bel Paese nel Secondo Dopoguerra. E a quanto pare, lo ha trovato in Romagna.
A raccontarla in questi termini, la storia di Ulisse Bezzi sembra allora una favola alla Vivian Maier, la bambinaia delle famiglie bene statunitensi, vissuta tra Chicago e New York in semi povertà e nel più assoluto anonimato, e riscoperta per puro caso nemmeno una decina di anni fa come antesignana della street photography.
A differenza della nanny dell’upper class degli Stati Uniti – che per quanto celebrata oggi con mostre itineranti in tutto il mondo, non ha certo potuto godere della notorietà tardiva – il 90enne romagnolo è vivo e vegeto. Abita con la moglie Giulia in una casetta nella campagna di San Pietro in Vincoli, tra Ravenna e Forlì.
Qui lo abbiamo raggiunto.
Ad accoglierci è una donnina gentile, dalla parlantina facile. Non smette un minuto di parlare, neanche quando il marito si siede con calma in soggiorno e inizia a raccontare. È il ritratto del nonno tipo: zanetta, pantofole trascinate dal passo affaticato, camicia chiusa fino all’ultimo bottone e golfino.
Ha pensato a uno scherzo quando, qualche settimana fa, ha alzato la cornetta. «Salve, è la Keith De Lellis Gallery, vorremmo invitarla a New York per vedere le sue foto». L’anziano risponde con un prudente rifiuto, ma superata l’iniziale diffidenza il misterioso interlocutore cambia approccio: «Veniamo noi». Così accade. Nella casetta tra i campi si presenta il gallerista accompagnato da un interprete.
Nel corridoio c’è una credenza, di quelle che fanno casa del nonno. Giulia gira la chiave che chiude le due ante. «Vedi – fa in dialetto – qua dentro ce né per sette castighi».
Lì, rullino dopo rullino, ha catalogato oltre 50 anni di negativi sviluppati e poi stampati dal marito. Le fotografie, invece, occupano scatole di cartone e cartelle ormai consumate dal tempo, protette le une dalle altre da fogli di carta che lasciano evidenti i segni di una recente incursione; quella del gallerista americano, che a centinaia ne ha sfogliate, ricoprendo la tavola di strati di stampe alla ricerca di un ritratto vintage dell’Italia rurale.
Sono i lavori degli anni ’50 e ’60, realizzati da Ulisse con una Retinette Kodak 24/36 presa da ragazzino con i soldi racimolati aiutando il vicino di casa nel periodo della potatura, oppure con una Rolleiflex 6/6 usata, acquistata per 40mila lire. Le immagini, quasi tutte in bianco e nero, sono soprattutto ritratti dai contrasti forti che hanno impresso i volti dei familiari, nipoti, figlie e figli dei compagni del paese. Le pose di figura ambientata cambiano il punto di ripresa – rigorosamente senza cavalletto – in funzione di uno spazio e un tempo che avvolgono i soggetti: le mondine inquadrate a terra in un momento di riposo, un contadino che svetta come una sfinge mentre alle spalle sfilano balle di paglia portate sulla schiena. I paesaggi – dai campi coltivati che si perdono nella foschia, alle colline viste negli sporadici viaggi in Toscana, fino alle immobili navi merci ormeggiate di notte al porto di Ravenna – trasformano invece la realtà in un’immagine intensa, filtrata dalle emozioni.
Ulisse sorride e alza gli occhi al soffitto quando gli si chiede se le ha mai contate. Per anni le ha stampate di persona. A una certa ora della sera cucina e bagno diventavano la sua camera oscura, stanze proibite percorse da una giungla di fili e stampe penzolanti. «Ero capace di stare sveglio anche tutta la notte – racconta – stendevo, appendevo e aspettavo. Sentivo il bisogno di fare fotografie, non saprei spiegarlo a parole. Agli altri tutto ciò che osservavano sembrava bello. A me piaceva scoprire qualcosa di diverso e lo facevo a modo mio».
Nella sua voce non c’è traccia di quella presunzione di chi è già arrivato; anche perché quell’istinto originale – a suo modo ingenuo e a tratti incoerente – del fare fotografia per sé e per nessun altro, Ulisse non l’ha mai abbandonato. «Era difficile accontentarmi – continua – ero selettivo, e ripetere cose già fatte non mi dava nessuna soddisfazione. Così partivo dopo aver finito nel campo, anche col buio, senza pensare ai concorsi ma solo per mio piacere personale». Sono stati gli amici a obbligarlo a partecipare a gare nazionali e internazionali: «Mi ripetevano ‘se non provi ti iscriviamo noi di nascosto’. Alla fine ho ceduto».
Da un mobiletto Giulia prende un trofeo di marmo. C’è scritto San Paolo, Brasile, testimonianza che quegli amici ci avevano visto giusto; il contadino amatore di San Pietro in Vincoli è stato capace di andare spesso a premio, come anche a Santiago del Cile, a Barcellona, e in concorsi di altre città spesso troppo lontane per riuscire a sostenere i costi della trasferta e ritirare di persona i riconoscimenti.
È probabile che proprio una di queste foto, rimaste negli annali di qualche concorso oltreoceano, sia finita tra le mani di De Lellis. «Ha detto di aver visto una foto grande, faceva segno con le mani…», continua il 90enne assieme alla moglie. Il gallerista ne ha selezionate a decine; chi era presente non ha dubbi, le migliori. È bastato trattare sul prezzo, e ridimensionare un tantino le più rosee aspettative; non certo al punto della svendita da capogiro che ha fatto circolare le centinaia di negativi e pellicole della babysitter Vivian Maier, scoperte in un bauletto confiscato e venduto per appena 380 dollari, perché non riusciva a pagare l’affitto.
Alla fine gli ospiti americani hanno tolto il disturbo, con un arrivederci. Destinazione New York, dove è attualmente in corso una mostra su scatti vintage della Grande Mela, e dove oggi Ulisse avrebbe l’occasione di riscattare la semantica del suo nome, con un’accoglienza d’onore alla Keith De Lellis Gallery. Non se la sente di affrontare il viaggio. «Con le foto ho chiuso – confessa mentre a fatica cerca di riposizionare il copriobiettivo sulla vecchia macchina – non saprei più che cosa inquadrare». La fotografia, la sua Odissea di una vita, ha già compiuto l’avventura più grande.