Dylan dietro casa, e noi non ci siamo. Sarà un segno del destino. Andateci voi, per cortesia, ammesso che ci siano ancora dubbi, e biglietti, a riguardo. Bob ha ancora nell’arco la freccia puntata verso un punto che sa soltanto lui, è ancora tonico e ancora nel centro di un viaggio fantastico, ancora intento a tracciare un suo preciso disegno.
È un posto raccolto, quel Teatro. Vederlo lì sarà un privilegio, quasi come tornare in un club. Certo: per vedere bene lo zio Bob ci sarà come sempre una buona percentuale di nostalgia da schivare, la zavorra dei sogni infranti, e molti a chiedergli, a implorare le canzoni che non suonerà, a sperare di riportare indietro con un ritornello tutto quello che è scappato e non c’è più.
Ma voi andateci dritto per dritto, muniti di due chiare, inequivocabili consapevolezze. Una: Dylan è – e incarna – l’artista contemporaneo, oggi come ieri, molto più di quanto sia un artista tradizionale. Due: con Dylan, da un po’ di anni, sarebbe meglio non pensare nemmeno alle canzoni (superbe, sempre) e concentrarsi sulla voce. Bob lavora sul suo timbro, come un vecchio sassofonista che affina il suono con il respiro rimasto, e va a cercare il senso delle cose su piani più sottili e imperscrutabili, in una piega dell’attacco, in una minima inflessione, in un grasp più strascicato del solito.
Andateci a farvi raccontare delle cose, dentro le parole, sotto le parole. Le parole le sapete già, e sono dei mezzi miracoli. Ma tutte le novità capitano sotto, di questi tempi. Ad esempio questa di Dylan che si reinventa crooner è la novità che sorprende gli analisti, i dattilografi della musica e i dilettanti. Dylan fa quello che ha sempre fatto. Si rifà da principio tutto il sentiero della musica americana, scrive a mano sopra calendari passati e ridisegna la mappa pagina per pagina, come se a ogni bivio la storia e il suono fossero andati solo qualche centimetro più a lato, a creare una tradizione simile ma non esattamente uguale, familiare eppure aliena. Il suo è un suono del Ritorno, ma è sempre il ritorno a un presente vagamente diverso da come ce lo si immagina. Il suo Sinatra è un Sinatra senza terra sotto i piedi, a mezz’aria, un Sinatra volante che canta l’amore che fugge verso la Luna aggrappato a una pedal steel.
La band è favolosa, ed è ormai un vestito su misura. L’America dei suoni che rivive tutta in un suono raccolto, trattenuto come il respiro di un ciclista, pronto a rapidi scatti ma anche a tenere il passo e il ritmo senza forzare gli eventi.
Soprattutto zio Bob sarà pericoloso. Pericoloso vero. Pericoloso da costringervi a seguirlo, anche in qualche curva scomoda, chè quello squarcio che si apre là dietro, magari solo per un secondo o poco più, vale tutto il viaggio. E se il vagabondo misterioso vi chiede se volete fare un patto, fatelo.
ANTONIO GRAMENTIERI
18, 19 novembre
Bologna, Auditorium Manzoni, via De’ Munari1/2, ore 21. Info: auditoriumanzoni.it
21 novembre, Milano, Teatro degli Arcimboldi, viale dell’Innovazione 20, ore 21. Info: teatroarcimboldi.it