Va bene – Rita Lee se ne andò e non si è più vista nei paraggi, Arnaldo Baptista non c’è più perché protagonista di tristi storie che implicano tentati suicidi e perdita di cosiddetto “diritto legale”, Zélia Duncan è stata una meteora degli anni scorsi – ma resta che Sérgio Dias, da quando ha rimesso in moto i Mutantes, ha fatto davvero grandi cose: due dischi eccellenti e concerti che sono un treno work in progress di vera gioia musicale per chiunque abbia la voglia di assistervi. Insomma, per dirla con i Grateful Dead – vera bellezza brasiliana!
La rinascita del mito di quella che è la più grande band brasiliana di sempre, perlomeno accanto ai Novos Baianos, è passato anche attraverso il culto riservatogli da star come Beck, Flaming Lips, Devendra Banhart e soprattutto David Byrne (Talking Heads) – culto che giustamente ha contagiato pure moltissimo pubblico fra Stati Uniti, Giappone ed Europa, dove Sérgio e i suoi si sono esibiti con grande successo a partire del 2006. Un’estetica, la loro, fatta di cut up musicali, psichedelica, collage di chiara matrice pop art e coloratissima ironia dilagante in tutto quello che fanno e che davvero nei decenni si è reiterata magnificamente ponendo la band allo status di artisti assolutamente contemporanei – destino riservato a pochi. E il merito, senza dubbio, è della caparbietà di seu Sérgio.
Il concerto è tutto tranne che fatto di revival, anche perché la musica più recente è ben rappresentata, vedi momenti veramente splendidi come Time & Space e Picadillly Willie – magnifico pastiche sospeso fra i Beatles più folli e le Mothers Of Invention – e poi perché i classici sono siringati di straordinaria nuova vita grazie a una band che sta intorno al leader vogliosa di rendere al meglio un materiale assolutamente glorioso, fatto di numeri che non si possono e non si devono mortificare: Bat macumba (Gilberto Gil/Caetano Veloso), Tecnicolor, Panis et circenses, Virgínia, A minha menina (Jorge Ben), El justiciero, Cantor de mambo, Ando meio desligado, Balada do louco e Desculpe, Babe. Quante altre, peraltro, sono rimaste fuori setlist che invece avremmo amato sentire, tipo Rolling Stone, Baby – il capolavoro di Caetano che davvero non doveva mancare, e invece… – Hey Joe – niente a che vedere con quello che pensa chi non li conosce – e l’omaggio a Tim Maia di Mutantes e seus cometas no país do baurets – ma accontentiamoci.
Su tutto, naturalmente, a dettare legge è lui: Sérgio Dias. Che per l’ennesima volta va davvero fatto notare quale sublime chitarrista egli sia, con effetti, trovate e colpi di genio che corrono sulle corde i quali realmente formano uno stile a dir poco sopraffine. E poi, ancora più a suo credito, quella voce – che ha la qualità dei Paul McCartney, dei George Harrison, degli Alex Chilton, dei Ray Davies, dei David Bowie, dei John Lennon – sulla carta non quella di un dono divino, del fuoriclasse dell’ugola, ma una voce capace di sigillare veri e propri classici con caratteristiche proprie di un maestro di uno stile preciso: quello pop, dei livelli migliori.
CICO CASARTELLI