Lacrime, reliquie e artigli di José González

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Effetti di un regime militare, quello argentino degli anni Settanta – la famiglia González scappa dal paese natio, giunge in Svezia e lì mette radici, fa progenie. È da quel contesto che lo sveglissimo José González si è ritagliato la sua finestra vista mondo della musica, fatta di piccoli lenti passi che lo fanno assomigliare per indolenza discografica a un Damien Rice scandinavo – tolte collaborazioni e side-project (Junip, Zero 7), José ha pubblicato giusto tre album in una dozzina d’anni – poca roba, contando che siamo nell’epoca dell’ultra-velocità, dell’Internet imperante, del (troppo) tutto-a-portata-di-clik.

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I più distratti, siccome i media ne hanno abusato, avranno udito quel magnifico acquerello che fu la sua cover di Teardrop dei Massive Attack – José ne ha fatto un po’ quello che Ryan Adams fece con Wonderwall dei Oasis, ossia l’ha rivisitata solo chitarra acustica e poco altro – compreso però tanto pathos. Peraltro quello è un giochino che ha dato il là a un intero genere il quale, siccome siamo al palese abuso, ha stancato – ma visto che il nostro svedese, a suo modo, ne è un po’ capostipite delle nuove generazioni, merita comunque più che semplice curiosità. Tanto più che il suo album di quest’anno, Vestiges & Claws, rompe gli indugi e fa un bel salto avanti stilistico – mostrando un artista avventuroso, poco incline al piacionismo di molti suoi coetanei – uno su tutti i poser in questione: Sufjan Stevens – e che si tuffa con perfetto stile nelle maglie di cantautori che fecero grande la Island Records: Nick Drake, Richard Thompson, Cat Stevens e più di tutti John Martyn, il quale di José González sembra più che un semplice vago riferimento artistico bensì un modello chiaro sotto tutti i punti di vista.

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Il concerto si è rivelato cosa molto solida, grazie anche a una band perfetta e con González eccellente nell’accompagnare la sua profonda, sussurrata voce con la chitarra classica magnificamente pizzicata – e lì sta il segreto della sua musica che non può passare inosservata. Naturalmente Teardrop si è rivelato il momento più applaudito, siccome González a rivestirla così ci ha messo molta anima – e sempre in tema sorpresa, addirittura ci tocca udire pure Hand On Your Heart, in origine singolaccio pop anni Ottanta di (hem…) Kylie Minogue, a conferma che José ama l’effetto sorpresa – il quale aggrada tutti, però. E sempre in tema di sorpresa, questa volta per i musicofili più esigenti, tocca sentire, meraviglia, pure This Is How We Walk On The Moon del compianto violoncellista e compositore Arthur Russell, roba sicuramente per gourmet. Il resto è dominato da Vestiges & Claws, del quale sono messe in fila le canzoni più belle dell’intero lavoro, avvolte di velluto in sette note: Every AgeThe ForestWhat Will – qui il fantasma di John Martyn gli ulula fra le ossa del viso, direbbe Bob Dylan – Let It Carry YouLeaf Off /The Cave e With The Ink Of A Ghost.

CICO CASARTELLI

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