Il «mistero» cui fa riferimento il titolo italiano, in un’inutile estensione dell’originale Mr. Holmes, è quello di Ann Kelmot, creduta pazza dal marito, che la fa pedinare dal detective privato Sherlock Holmes. Holmes ne ha risolto il caso, o almeno così asserisce l’ultimo dei romanzi, ridotto anche per il grande schermo, a lui dedicati dall’ex-assistente e collega John Watson, ma l’investigatore, oggi novantatreenne, non ricorda più i termini della soluzione. Vive da anni sulla costa meridionale dell’Inghilterra, accudito da una collaboratrice domestica (vedova di guerra con ragazzo a carico), si occupa soprattutto di apicoltura e ha da poco fatto ritorno dal Giappone, dove si è recato per approfondire le proprietà curative di una pianta. L’unico «mistero» di Mr. Holmes – Il Mistero Del Caso Irrisolto è quello avallato dal deteriorarsi della memoria di Holmes: i suoi ricordi, infatti, sono diventati talmente opachi e confusi da rendergli impossibile il dire con certezza perché, dopo il caso Kelmot, egli abbia deciso di abbandonare la professione per ritirarsi in campagna, lontano da tutto e da tutti. Saranno l’intelligenza, la curiosità e la vivacità di Roger – il figlio della governante – a risvegliare in lui le testimonianze di un passato col quale, anche per l’anziano e intelligentissimo Holmes, è giunta l’ora di venire a patti.
Seconda collaborazione tra il regista americano, di origine irlandese, Bill Condon e l’attore britannico Ian McKellen («baronetto» di Sua Maestà dal 1979, qui nei panni di Holmes) dopo le cupe meditazioni sulla vecchiaia e sulla Hollywood di un tempo del discreto Demoni E Dèi (Gods And Mosters, 1998), Mr. Holmes – Il Mistero Del Caso Irrisolto, basato su un romanzo di Mitch Cullin (A Slight Trick Of The Mind [2005], inedito in Italia), cerca di inquadrare il personaggio nato dalla fantasia di Arthur Conan Doyle attraverso una lettura meno devota alle sue abilità “enigmistiche” (diciamo così), e più affine alla radiografia della sua vita interiore, a lungo soffocata e repressa come «perdita di tempo» rispetto all’inoppugnabilità, alla logica e alla freddezza dei fatti, anche di quelli meno visibili. Condon e lo sceneggiatore Jeffrey Hatcher, encomiabile negli adattamenti per il teatro di alcuni racconti di Edgar Allan Poe, per esempio, ma molto più discutibile nei tre script di altrettanti film in costume (compreso l’inguardabile Casanova [2005] di Lasse Hallström) confezionati prima di questo, scelgono la strada, non facile, della demistificazione della mitologia holmesiana, dall’abbigliamento alle abitudini, allo scopo di suggerire altre interpretazioni, altre suggestioni, altre ottiche. Ma pur evocando con qualche finezza di tocco l’idea, in Holmes, di un’esistenza non consumata, avara di emozioni, e quindi di una tarda età trascorsa nel rimpianto (reso ancor più acuto dalle frequenti amnesie), non riescono o non vogliono evitare una progressione narrativa dolciastra, persino convenzionale nel conferire al giovane discepolo dell’uomo (Milo Parker, bravo ma non quanto sua madre, la sempre splendida Laura Linney) e alla sua genitrice – due figure prive del benché minimo approfondimento psicologico – la facoltà di ravvivarne i sentimenti.
Certo, di fronte alla recitazione, ogni volta superba, di McKellen – un’icona del movimento LGBT – qualsiasi parte, tranne (per ovvie ragioni) quelle del Gandalf tolkeniano e del Magneto degli X-Men, si colora di sfumature omosessuali, e pure in quest’occasione l’ipotesi che i tentennamenti romantici e affettivi di Holmes derivino da un’omofilia repressa (tutti i personaggi maschili del film cercano in Holmes un sostituto paterno impossibile a ottenersi) costituisce uno degli aspetti più singolari e riusciti della pellicola. Eppure, nonostante le allusioni, Mr. Holmes – Il Mistero Del Caso Irrisolto non è il dispiegamento per immagini e metafore di un desiderio soffocato, come non è, sebbene Holmes venga spesso ripreso nell’atto di guardare (da una banchina della stazione ferroviaria, dentro una vetrina, dietro una porta o nel riflesso di una vetrata), un’opera meta-testuale sul grumo di scopofilìa ogni volta intrinseco al posizionamento della macchina da presa. I suoi artefici si sono accontentati di intrecciarne lo sviluppo a qualche dettaglio, a qualche accenno e a qualche riferimento indiretto sulla natura mendace della vista, e del cinema (Holmes vede un se stesso di celluloide, si vede nei sogni e nei flashack, alcuni inattendibili), fermandosi però al più classico dei puzzle dove ogni tessera, alla fine, viene ricomposta grazie al raziocinio: per Holmes, in fondo, l’impurità del falso (del falso come lo intendeva Orson Welles, ossia l’inevitabile conseguenza del disperato sovrapporre arte e vita, consapevoli del prezzo e del sicuro fallimento) può darsi soltanto come malattia – le amnesie retrograde – da curare con le premure e la dedizione delle persone care.
Se, insomma, Mr. Holmes – Il Mistero Del Caso Irrisolto ispira comunque simpatia, lo si deve alla strana tenerezza di un cinema non elegante, come sarebbe nelle intenzioni e come cercano di essere la fotografia illustrativa (e un po’ televisiva) del tedesco Tobias A. Schliessler (in genere un mostro di bravura, e chi ricorda le partite di football in notturna di Friday Night Lights [2004] sa di cosa parlo) e le musiche amabilmente démodé dello specialista Carter Burwell, ma solo anacronistico, ancoràto a certe figure retoriche – la ricchezza verbale dei dialoghi, la correttezza teatrale della recitazione, la discrezione della cinepresa – appartenute a tanto cinema medio del passato eppure, ancora oggi, non patetiche né fastidiose. L’armonia quasi perfetta delle superfici, volutamente spogliate delle grigie ambiguità del contemporaneo: per questa volta, può bastare così.
Gianfranco Callieri
MR. HOLMES – IL MISTERO DEL CASO IRRISOLTO
Bill Condon
Uk/Usa – 2015 – 104’
voto: ***