Chiariamolo subito – qui si parla di Trey Anastasio, non dei Phish. Evitare di cadere nell’errore, poiché l’ex ragazzo prodigio del Vermont, oramai oltre i cinquant’anni, fan quasi due decenni i quali porta avanti una carriera parallela che con questo Paper Wheels sembra aver afferrato l’apice creativo – ed era molto che attendevamo avvenisse. Già, perché Anastasio finora non aveva mai centrato il disco solista che facesse gridare all’alleluia, anzi qualche volta ha fatto lavoracci pop che hanno fatto chiedere fra sé e sé il classico “perché, diamine?” – vedi l’ultimo tentativo della serie, il dimenticabilissimo Traveler (2012).
Questa nuova opera sembra davvero invertire la rotta – un album compatto, con le idee chiare ma soprattutto con le idee che sono grandi nonché canzoni che tutti insieme di questo perfetto taglio erano lustri che Trey non metteva insieme, Phish compresi – almeno alle mie orecchie. Sarà anche che abbia preso parte ai concerti di addio dei Grateful Dead, in un ruolo delicato e facilmente “fallibile” (“let Trey sing”, ha fatto sapere al mondo Bob Weir), ma questo è il disco “più Jerry Garcia” che Trey potesse fare – e lo ha fatto. In poche parole, se ascoltandolo vi parrà di essere imbrigliati in stupori Garcia-ni come The Wheel (1972) oppure Run For The Roses (1982), non meravigliatevi – era proprio lì che Trey Anastasio voleva andare a parare. E farlo nel 2015, con tutto ciò che è avvenuto nel mondo Dead in questi ultimi mesi, ha una propria perfetta logica.
Paper Wheels ne ha per tutti i gusti – ma ha una decisa coerenza artistica di fondo, tutto messo a fuoco alla perfezione come già stabilisce l’apripista Sometime After Sunset, subito compiuta nello stabilire l’umore con un bel ritmo e la solita chitarra “a pioggia” che è il suo marchio di fabbrica – quella che tenti di schivarla ma non ci riesci trovandoti completamente fradicio della sue note. Ma corriamo subito al capolavoro della raccolta – Liquid Time, ballata con un tocco frenetico dettato dai fiati che sembrano espiantati a forza da qualche produzione Stax di Isaac Hayes, partiture sexy e intricate che non sono cosa che riesce a tutti. Ma lo sappiamo, Trey è uno che ha studiato – alla grande. Stesso giochino è regalato da Speak To Me, con arrangiamento sottile di basso che pian piano s’ingrossa in una bella, avvolgente grandeur fatta di un po’ di tutto fra jazz, funk e Dead-ismi.
Prendiamo anche Never, per esempio – era da un pezzo che non sentivo Trey così convinto: ballata romantica con un sottile eco Genesis ma tutt’altro che stucchevole e che peraltro si dilunga in una lunga coda languidamente psichedelica. Altra perla, insomma. Così come pure Flying Machines, fatta di musica leggera e delicata, magnifica Musica Cosmica Americana come sfido chiunque a trovare di così bella nel 2015. Metteteci poi un paio di solleticanti ballate in crescendo come The Song e Lever Boy oppure il magnifico brano guida che va ovunque su ruote di carta – e si capisce subito che Paper Wheels è un disco di una gran pasta fatta come una volta – poco lievito e tanta, tanta cura nel dosare gli ingredienti.
CICO CASARTELLI
TREY ANASTASIO – Paper Wheels (Rubber Jungle/ATO Records)