Presentato lo scorso anno al Torino Film Festival, nella sezione Diritti & Rovesci curata da Paolo Virzì, Per Tutta La Vita, nonostante la coproduzione di Rai Cinema (finanziatrice del film assieme all’Università di Roma Tre e alla Fondazione AAMOD, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico), è ancora in attesa di effettiva divulgazione, a quanto pare programmata per il 21 e 23 novembre, quando il film sarà trasmesso dalle frequenze di Rai Storia. Perché questa attesa? Possibile che un documentario sul contratto sociale del matrimonio e sulla sua eventuale dissoluzione, realizzato in occasione del quarantennale del referendum sul divorzio (vigente in Italia dal 1970 ma quattro anni dopo sottoposto a consultazione abrogativa), possa alimentare controversie e toccare un nervo a quanto pare scoperto del nostro ordinamento giuridico, della nostra concezione di vita? Possibile se siamo in Italia, dove malgrado la vittoria del NO («no» alla soppressione della legge Fortuna-Baslini), affermatasi quarantuno anni fa con la schiacciante maggioranza del 59,3% dei votanti, le normative sul divorzio restano tra le più ostili e restrittive d’Europa, e chi non si sposa (per non dire di chi rifiuta in toto il concetto di «coppia» come forma minima di organizzazione della società) continua a essere trattato da cittadino di serie B, spesso estraneo alle tutele legali, alle agevolazioni fiscali e al sostegno invece concesso, sebbene a volte soltanto a parole, ai contraenti matrimonio.
Per Tutta La Vita, cinquanta minuti di montaggio tra materiali di repertorio, filmati in super 8 della cerimonia nuziale e della luna di miele dei genitori della regista, interviste e immagini d’epoca, conferma l’interesse di Susanna Nicchiarelli per i mutamenti delle dinamiche familiari e per il ruolo della donna al loro interno, temi in qualche modo altrettanto centrali nei due lungometraggi da lei diretti, il nostalgico Cosmonauta (2009), racconto di formazione adolescenziale ambientato in un mondo dominato dall’ideologia e dalle ambizioni mancate, e il molto meno riuscito La Scoperta Dell’Alba (2013), tentativo fallito di proporre una specie di “fantascienza civile” (da un romanzo di Walter Veltroni) senz’altro lontana, salvo casi sporadici, dalla nostra tradizione cinematografica. La diversità rispetto al panorama circostante, tuttavia, è uno dei tratti migliori dello stesso Per Tutta La Vita, sprovvisto di certezze positive e di formule narrative troppo prosaiche: nessuna delle domande sollevate durante la visione (sulle ragioni del matrimonio, sulla scelta monogamica di certi individui, sulla subordinazione femminile al controllo e alla fecondazione da parte del maschio) ottiene una risposta immediata, univoca o definitiva, e il coro delle voci chiamate a esprimersi sull’argomento non ha altro da offrire se non l’evidenza empirica della propria esperienza, dei propri studi, della propria professione.
Se però le sequenze degli intervistati – un’etologa intenta a riflettere sulle abitudini associative degli animali, un avvocato divorzista, una coppia separatasi negli anni ’80 – soffrono un taglio televisivo in stridente contrasto con la grana ruvida e i colori saturi delle riprese d’archivio (in cui i politicanti del tempo, con l’eccezione di un Enrico Berlinguer al solito dignitoso e signorile come pochi, paiono arrivare da un altro pianeta dove il divorzio costituirebbe, nel pensiero del segretario dell’MSI Giorgio Almirante, «un favore agli amici delle Brigate Rosse»: la vedova Assunta, separata dal primo e defunto marito, rivelò poi come lo stesso Almirante, anche lui divorziato, ma in Brasile, avesse in segreto votato da «amico delle BR», cioè per il NO), Per Tutta La Vita trova il suo respiro nelle parole della madre della regista, che commenta i filmini di famiglia ragionando con sincerità e un fondo di insopprimibile malinconia non solo sull’affetto ancora perdurante tra lei e il coniuge, ma soprattutto sul modello coercitivo di una società, di una classe politica, di una pubblica opinione secondo cui la donna, anziché soggetto individuale con diritto di scelta sul corpo, sulle decisioni e sui desideri, può assumere soltanto le identità di sposa o genitrice e in entrambe trovarsi irrigidita all’interno di un ruolo ornamentale, oppure meramente riproduttivo. Sembra passato un secolo da quando Julia Kristeva, nel 1981, metteva in discussione alcuni aspetti totalitari e autoreferenziali di certi movimenti femministi indifferenti, nella loro pretesa di voler emancipare un gruppo umano per intero, alle libertà individuali e all’identità del singolo («la libertà si declina sempre al singolare»): Per Tutta La Vita, invece, è una lunga e talvolta dolente lettera d’amore indirizzata a una donna e alla sua voglia di guardarsi dentro, a un’introspezione in grado di ragionare sulla propria soggettività individuando stereotipi culturali e denominatori simbolici (per esempio l’accesso allo studio e alle professioni) ancora succubi di evidenti sperequazioni legate al genere. Susanna Nicchiarelli, fin dal titolo, ci costringe a confrontarci con un valore di tempo assoluto, ma il suo documentario, ancorché incentrato su sofferenza, ribellione, solitudine e gerarchie sociali, diffonde una sensazione benefica di autonomia. La stessa di coloro i quali, a dispetto di leggi regressive e convenzioni moraleggianti, non rinunciano a ossigenare le proprie azioni con il soffio dell’indipendenza.
Gianfranco Callieri
PER TUTTA LA VITA
Susanna Nicchiarelli
Italia – 2014 – 52’
voto: ***