Bryan Ferry, Roxing the Music

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Purtroppo, a una certa età, bisogna fare i conti con il vigore fisico – che non è più quello di una volta. Anche Bryan Ferry, narrano le più recenti cronache, nonostante l’aria di invidiabile eterna giovinezza che lo circonda, è stato colto da qualche problema di salute – solo pochi mesi fa ha cancellato pochi minuti prima di andare in scena un concerto alla Royal Albert Hall di Londra, causa improvviso malore, che poi lo ha costretto anche a rimaneggiare il relativo tour.

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Niente timore, però – il Roxy Music supremo pare si sia ripreso più che bene, vista la performance qui di assoluta classe, di professionalità e di savoir faire, terreni che fin da quando apparve sulle scene nei primissimi anni Settanta, non vi sono dubbi, lo hanno sempre visto dettare legge su chiunque. E se appunto vogliamo parlare di assoluta classe, di professionalità e di savoir faire, solo l’anno scorso Bryan Ferry ha regalato un disco per palati fini, di quelli che scaldano il cuore, insomma con Avonmore – non credo vi sia di spiegare il gioco semantico-temporale con il classicissimo album dei Roxy Music, Avalon (1982) e con il relativo, indimenticabile hit More Than This – Ferry ha di nuovo fatto centro, regalando veri e propri numeri che allungano la vita, almeno quella artistica: a riprovarlo qui sono le scelte di One Night Stand, del pezzo guida e soprattutto della splendida Midnight Train, che il pubblico ha dimostrato di gradire senz’esitazione, constatata la fragorosa accoglienza.

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Avonmore a parte, il grande artista ha giocato con la solita sofisticata “coolness” che gli è da sempre propria, quella che ti prende per mano e ti porta nei sensualissimi erotismi di Slave To Love – uno di quei bravi, che piaccia o no, i quali identificano un’intera epoca – nel patinato-mai-troppo-patinato di Avalon, di Love Is The Drug e di More Than This oppure nei rigurgiti dell’epoca glam Do The Strand e Ladytron – quest’ultimo forse il momento migliore del concerto, con l’impeccabile band che davvero ha girato a mille. Quando, fra tutto il resto, infine Bryan Ferry entra nel terreno delle cover, è realmente definitivo punto-game-set-match a suo favore: sentirlo intonare Smoke Gets In Your Eyes ossia il tema del classico musical Roberta, un magnifico Bob Dylan riletto in modalità ko piano, armonica e poco altro come Don’t Think Twice, It’s Alright e il John Lennon di Jealous Guy, per le orecchie è puro giardino dell’Eden. E a tal proposito, i suoi dischi di riletture di brani altrui – gli strepitosi These Foolish Things (1973) e Another Time, Another Place (1974) ma anche Taxi (1993) e Dylanesque (2007) – un giorno saranno ricordati per quel che sono, ossia fra i migliori lavori di cover appena dopo i pesi massimi del genere, quelli nel tempo vergati da Laura Nyro, Nick Cave e Bob Dylan – si accettano scommesse!

CICO CASARTELLI

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