Operazione U.N.C.L.E. – La ginnastica della Guerra Fredda

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Operazione U.N.C.L.E. (Alicia Vikander)Operazione U.N.C.L.E. (Elizabeth Debicki)Di Guy Ritchie, dai suoi esordi a oggi, si è parlato soprattutto per ragioni non inerenti la carriera di regista. Il matrimonio con Madonna, naufragato dopo otto anni di unione e la malsana idea di trasformare un vecchio film di Lina Wertmüller in uno dei remake più tristi, sbagliati e tragicomici dell’intera storia del cinema (Travolti Dal Destino [Swept Away, 2002]), le successive beghe legali e, in ultimo, la nuova vita coniugale con la modella Jacqui Ainsley, hanno avuto, sulla stampa e sui cosiddetti social-media, un’eco assai superiore a quella generata dalle pellicole, ancorché redditizie, da lui dirette. E d’altronde, occuparsi del cinema di Ritchie – allucinogeno, pieno di testosterone e in genere assai apprezzato dal grande pubblico – significa in prima istanza registrarne la superficialità e l’inconsistenza, e forse anche il cinismo astuto con cui, anziché elaborare in modo spontaneo idee o soggetti personali, si limita invece a rivisitare, in toni sempre parossistici, schegge di immaginario prelevate nei luoghi più disparati. Se infatti quasi tutti i primi film del regista, dal debutto Lock & Stock – Pazzi Scatenati (Lock, Stock And Two Smoking Barrels, 1998) al fortunatissimo Snatch – Lo Strappo (Snatch., 2000), dall’astruso Revolver (2005) all’ipercinetico RocknRolla (2008), annegavano l’esperienza del thriller britannico o europeo in un continuo “tarantineggiare” a base di caratteristi grotteschi, iperboli visive e secchiate di violenza gratuita, così come gli ultimi Sherlock Holmes (2009) e Sherlock Holmes – Gioco Di Ombre (Sherlock Holmes: A Game Of Shadows, 2011) frullavano i personaggi di Arthur Conan Doyle, affidati agli addominali di Robert Downey Jr. e alle sembianze metrosexual di Jude Law, in una macedonia di acrobazie dallo stile esagitato e volutamente frastornante, questo Operazione U.N.C.L.E. (The Man From U.N.C.L.E.) riprende addirittura una celebre serie televisiva americana degli anni ’60 (arrivata da noi nel 1967, tre anni dopo la messa in onda ufficiale, col titolo di Organizzazione U.N.C.L.E.) dedicata alle disavventure di una «strana coppia» di agenti segreti – un membro della CIA (Napoleon Solo) e uno del KGB (Illya Kuryakin) – costretti a unire le forze affinché varie e deliranti associazioni para-naziste non inneschino, con le loro macchinazioni su scala mondiale, l’allora temutissima guerra nucleare. Il serial, conosciuto anche come L’Uomo Dell’U.N.C.L.E. in ragione di una serie di film di montaggio (non autorizzati e ottenuti appiccicando un po’ a caso spezzoni anche asintattici dei telefilm) più volte trasmessi dalle nostre emittenti locali, nasceva con l’idea di esorcizzare le paure della Guerra Fredda ricorrendo a un armamentario talvolta abbastanza kitsch, ma sempre molto divertente, di archetipi spionistici, affidati per l’occasione a un duo di emissari in incognito sospesi tra l’eleganza del James Bond di Ian Fleming e la pericolosità insospettabile del Matt Helm di Donald Hamilton.

Operazione U.N.C.L.E. (Henry Cavill)Operazione U.N.C.L.E. (Armie Hammer)A cinquant’anni di distanza, per Ritchie e i suoi troppi compagni di scrittura (un co-sceneggiatore e tre soggettisti), non sembra essere cambiato granché: la Storia è ancora quella, manichea e semplificata, di un gioco di scacchi tra superpotenze, capitalismo e socialismo sono perfettamente compatibili (a patto di scegliere in extremis il primo), la dialettica bipolare che aveva trasformato la Germania divisa del dopoguerra nel teatro silenzioso di una competizione globale può essere disciolta, tra botti, velivoli, natanti e fanfare, sotto la benevola direzione dell’intelligence del Regno Unito (nel ruolo di Alexander Weaverly, responsabile della filiale inglese del «Comando Unito per l’Esecuzione delle Leggi», ossia U.N.C.L.E., c’è il redivivo Hugh Grant). A un primo grado di lettura, emerge la volontà, senz’altro efficace sotto il piano della ricostruzione ambientale, di evocare un gruppo di agenti le cui azioni, ambientate in un’Italia dove tutti ascoltano le canzoni di Luigi Tenco e Peppino Gagliardi, o le partiture di Stelvio Cipriani (e persino gli autisti di eversori senza scrupoli vanno al lavoro portandosi il cestino con pagnotta e vino rosso), sembrano sbucare non già da un campo di addestramento, bensì da qualche atelier della Londra swinging, ottimista e spensierata di mezzo secolo fa. L’effetto-nostalgia, però, viene di fatto spazzato via dal perenne funambolismo di una macchina da presa incapace di star ferma, dalla frenesia inarrestabile di un montaggio impegnato a sovrapporre punti di vista diacronici con esiti a dir poco confusionari, dalla muscolarità estrogènica di lunghe riprese (si veda per esempio l’inseguimento finale tra fuoristrada, quad e motocicletta) in apparenza finalizzate soltanto a spingere sul pedale dell’azione pura e semplice. Inoltre, per quanto Henry Cavill e l’allampanato Armie Hammer siano, a sorpresa, piuttosto credibili nei ruoli, rispettivamente, di Solo e Kuryakin, la loro desolante e incontestabile assenza di carisma (delle doti recitative non parliamo) rende l’insieme ancor più indigesto; malgrado, poi, le rocambolesche ostentazioni virili offerte da entrambi, per la comprimaria Alicia Vikander – la figlia (e non solo…) dello scienziato nazista da ritrovare – è una passeggiata sovrastarli a ogni inquadratura. Può darsi Operazione U.N.C.L.E. sia un film da ripensare quando l’inflazione di opere simili, inclini a raffigurare le esperienze del XX secolo (refrattarie, poiché troppo recenti, a ogni ridondanza) con logiche spettacolari votate all’eccesso, si sarà finalmente diradata. Ma anche allora sarà ben difficile, credo, trovarci qualcosa in più di 116 minuti di noia al cubo.

Gianfranco Callieri

OPERAZIONE U.N.C.L.E.

Guy Ritchie

USA/Uk – 2015 – 116’

voto: **

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