Perché parlare di un disco uscito nel 2014, mi suggeriscono a quasi un anno della pubblicazione? Semplice, perché delle cose di valore che si vedono-leggono-ascoltano bisogna parlarne – e sopratutto perché se si scrive di qualcosa per far piacere a un ufficio stampa, a un distributore, a un editore, a un promoter o una casa discografica, meglio lasciar perdere che la miccia è corta. Petali di Gianluca Mondo, torinese trasferitosi a miglior vita in quel di Genova, quarantenne e con idee/opinioni sulla musica che sono fra quelle che più mi sia capitato di rispettare e di condividere negli incontri con appassionati, ecco Petali almeno fra i miei ascolti di musica italiana, è un piccolo grande evento – raramente mi è capitato che un disco suoni così originale e direi pure dirompente – forte dei riferimenti giusti, che nel caso sono Leonard Cohen, il blues di Skip James e non solo quello dell’autore di Crow Jane e di Devil Got My Woman, Lou Reed, Bob Dylan, Enzo Jannacci. Però, attenzione – se dico Bob Dylan, aspettatevi Bob Dylan come lo farebbe Lou Reed – oppure se dico Lou Reed, aspettatevi Lou Reed come lo farebbe Skip James – oppure se dico Skip James, aspettatevi Skip James come lo farebbe Leonard Cohen – oppure se dico Leonard Cohen, aspettatevi Leonard Cohen come lo farebbe Enzo Jannacci. Per la cronaca – Skip, Lou ed Enzo sono passati a un’altra dimensione.
La prima cosa che mi è balzata all’orecchio immergendomi in Petali, è il modo di cantare di Mondo – avete presente tutte quelle voci che tentano in ogni modo di non farti capire di dove vengono, chessò, il siciliano che tenta di farsi passare per romano o per milanese, oppure quel fiorentino che canta così male cercando di sembrare Iggy il Papa di Detroit, o ancora quello con la voce impostata modello Luigi Tenco senza capire che Tenco bastava e avanzava, e se vi vengono in mente nomi e cognomi precisi significa che gli esempi posti sono chiari, la qual cosa mi rende alquanto compiaciuto – Mondo di tutto questo se ne frega, non vi è sillaba in Petali che non sia cantata con pesante accento piemontese – senza che sia minimamente folk, direi, anzi, qui siamo allo spontaneo hipster-ismo originale, quello che con la moda nulla aveva a che spartire. Ecco, sì, a proposito di parole – costui le usa proprio forti, dure, ricercate ma non barocche, si sente che ha letto, visto, ingerito e certamente sputato se non pure vomitato quanto assimilato, che si tratti delle proiezioni letterarie di William Blake, di quelle visive di Roman Polanski (e qui vi è davvero molto dell’estetica dell’autore di Luna di fiele) o anche di quelle musicali con la chitarra per lasciare un segno nel mondo di Lou Reed.
Senza voler rovinare la sorpresa dell’ascolto – che poi rovinare la sorpresa dell’ascolto è il vero limite di quanti operano nell’ambiente dell’informazione musicale o non solo in quello, ossia di voler spiegare tutto senza stimolare niente – del disco di Gianluca Mondo, fra i mille percorsi che prendono parole e musica nel labirinto di Petali, a proposito di invogliare, si può gettare qualche sasso nello stagno – tipo come i petali del brano guida sembrano più che altro della lame usate in un paesaggio iper industriale, come in Il punto del cinghiale (per Skip James) per fare il blues si giochi la carte di un palese caldo bagliore di luce bianca degno del fu Uomo in Nero di New York tanto quanto in Crapshooter la neuro-fotocopia di Vinicio Capossela è riuscita benissimo. Per il resto, a voi il piacere di perdervi fra i Petali: sfiorarli è velluto, fiutarli è profumo.
CICO CASARTELLI
GIANLUCA MONDO – Petali – Controrecords
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