(Contiene rivelazioni sulla trama)
Church in ruins, la «cattedrale in rovine» del titolo sesto episodio di TD 2.0 (diventato, da noi, «Festa privata»), è la cittadina di Vinci, un piccolo centro molto industrializzato e altrettanto marcio, oggetto del desiderio di speculatori edilizi e popolato da funzionari degenerati, criminali incalliti e tutori dell’ordine asserviti al tornaconto personale. Probabilmente ispirata alla reale Vernon (dieci chilometri a Sud di Los Angeles) e alle sue distese di asfalto e cemento, dove David Lynch ambientò Eraserhead, Vinci deve altresì tantissimo alla «città degli angeli» di alcuni romanzieri hard-boiled. Non quella marxista e rabbiosa di Dashiell Hammett, né quella del suo contraltare, l’esistenzialista e malinconico Raymond Chandler. La Vinci di TD 2.0 viene dritta dalle pagine aspre di James Ellroy, dal quale la serie prende anche gli intrighi complicatissimi tra malaffare e politica, e ne condivide il martellante credo secondo cui vizio, degrado e malvagità finiscono per contaminare ogni forma di virtù, a cominciare dall’amore e dall’etica professionale. In TD 2.0, come appunto in Ellroy, o in Jim Thompson (senza dimenticare la descrizione, parziale ma esatta, dei rapporti tra sbirri, di certo debitrice dei lavori di Joseph Wambaugh), la decadenza e la corruzione della società riflettono la corrosione cancerosa dell’essere umano: ogni creatura è consumata dal suo trauma, e ognuno di questi contribuisce a delineare la condizione traumatica, cronica e irreversibile, della nazione tutta.
Sebbene la serie prenda infatti le mosse dal ritrovamento del cadavere di un burocrate cittadino cui sono stati bruciati gli occhi con l’acido e maciullati i genitali, innescando così un’indagine in cui vengono coinvolti poliziotti venduti, papponi, un chirurgo estetico (tra l’altro interpretato dal musicista Rick Springfield, proprio il dottor Noah Drake di General Hospital), malviventi russo-israeliani, spacciatori, narcotrafficanti latinoamericani, proprietari terrieri, gestori di sale da gioco e persino il sindaco, le centinaia di ramificazioni politiche e sociali della trama si perdono quasi subito per strada, diluendosi, in un primo momento, in un affresco impressionante dell’amoralità di amministrazione e amministrati, e poi riverberando nelle storie private dei personaggi principali (ai quali toccherà scoprire come anche l’omicidio iniziale, anziché derivare da qualche astruso complotto delle alte sfere, sia riconducibile al desiderio di vendetta di un ragazzo cui tanti anni prima, assieme alla sorella, è stata rubata l’infanzia). Raymond “Ray” Velcoro (Colin Farrell) è un detective della polizia di Vinci, sovente soggiogato dalle autorità e dai farabutti locali, alla deriva da quando ha ammazzato (o almeno, così crede) chi gli ha violentato la moglie: il suo bambino, frequentato poco e male in seguito a una separazione ancora foriera di conflitti e tensioni, potrebbe essere figlio dello stupratore. Velcoro è l’informatore di Frank Semyon (Vince Vaughn), socio in affari del morto, cui aveva affidato milioni di dollari (volatilizzatisi) da investire: orfano di madre, in gioventù picchiato e segregato in cantina dal padre, Semyon vive ogni azione come una specie di rivalsa personale contro un destino di precarietà e ristrettezze che sente di non aver ancora scongiurato. Antigone “Ani” Bezzerides (Rachel McAdams), sceriffo della contea di Ventura, viene assegnata al caso per rimestare nella torbida palude socio-affaristica di Vinci: figlia del guru di una ex-comune degli anni ’70, da bambina è stata rapita e si presume abusata per quattro giorni da un individuo di cui non ricorda l’aspetto, diffida degli uomini, coi quali vive relazioni sessuali prive di implicazioni sentimentali, e ritiene che l’unica differenza tra i sessi stia nel fatto che one of them can kill the other with their bare hands («uno di essi può uccidere l’altro a mani nude»), perciò è diventata un’esperta nell’uso dei coltelli. Paul Woodrugh (Taylor Kitsch), agente della stradale, è cresciuto in un trailer con una madre alcolizzata (la rediviva, e ottima, Lolita Davidovich), ha operato da contractor in Afghanistan e, non riuscendo a tollerare la propria omosessualità, mette incinta una ragazza che non ama: alcuni poliziotti del dipartimento di Vinci tentano di ricattarlo con foto di un suo amplesso con un altro uomo. Malgrado l’esibizione di una quantità industriale di dettagli riguardanti documenti scottanti, opachi passaggi di proprietà, festini disinibiti per governatori e costruttori, piani segreti per incastrare procuratori generali e cartelli di criminalità messicana o est-europea, si capisce come TD 2.0 parli soprattutto dell’assenza dei padri e del dolore irreparabile dei figli, della mancanza di comunicazione (e della conseguente impossibilità di riscatto) tra i genitori e una prole spesso non desiderata, umiliata, messa al mondo per distrazione o vanità. Non esiste, nella serie, rapporto familiare slegato dal concetto di sopraffazione. Bezzerides detesta suo padre al punto da proiettarne la fisionomia sull’immagine incerta del suo rapitore, il morto della prima puntata potrebbe esser stato freddato da suo figlio, Woodrugh cerca un erede per compensare i vuoti interiori, il sindaco viene massacrato dai due figli, Semyon sente nella testa la voce del padre violento (e, forse a causa di una disfunzione erettile, non riesce a procreare), Velcoro vuole dare un ultimo saluto al figlio ma questo, nell’ultima puntata, lo porta nel mezzo di un’imboscata.
(2 – continua)
TRUE DETECTIVE Stagione 2
scritto e creato da Nic Pizzolatto
HBO / Sky Atlantic
USA – 2015