Una mostra d’arte contemporanea, per chi non la conosce e forse non l’ha mai capita. Ha un taglio divulgativo e un intento educativo la mostra: “Tenere vivo il fuoco. Sorprese dell’arte contemporanea” in corso fino a mercoledì 26 agosto al Meeting di Rimini, nei padiglioni di Rimini Fiera.
La voce di Giacomo Poretti, del trio Aldo Giovanni e Giacomo, accompagna lo spettare in un viaggio tra i più grandi nomi dell’arte contemporanea mondiale. Questo video introduttivo dal sapore ironico, prende per mano il visitatore e spiega come l’arte oggi abbia superato i confini del figurativo per diventare performance, coinvolgere tutti i sensi, diventare strumento politico. Si dice nel video “L’arte si fa con tutto, l’arte è tutto e dappertutto”.
“L’obiettivo di questa mostra – spiega Davide Dall’Ombra, uno dei curatori – è comunicare allo spettatore che è bello lasciarsi sorprendere dall’arte. Non vi è un percorso preciso tra le sale, ma l’assoluta libertà di muoversi e di rimanere all’interno di ogni stanza quanto tempo si desidera – poi continua – ci piacerebbe che le opere suscitassero domande nei visitatori che possono fermarsi all’uscita a parlanem nei corner predisposti, con i volontari del Meeting. Solo chi accenderà un dialogo sulle opere, riuscirà a comprendere a pieno il significato della mostra”.
Infatti l’esposizione ha una struttura particolare: 7 sale per 7 autori che lavorano con 7 media diversi Nessuna guida all’interno delle sale spiega l’autore, come invece succede in tutte le mostre Meeting. Solo qualche frase significativa e un pannello a tracciare i tratti salienti dell’artista e dell’opera. Le opere presenti non sono gli originali, ma sono il racconto di quelle opere attraverso video e/o, foto e riproduzioni.
L’aspetto interessante della mostra è che usciti da ogni sala c’è un corner di discussione, con qualcuno sempre disponibile a parlare delle opere. Gli stessi curatori sono presenti in mostra e disponibili per i visitatori. E questo costituisce sicuramente un valore aggiunto alla mostra e permette a tutti di avere chiarimenti, risposte a curiosità, un confronto. Davvero un bel modo di avvicinare le persone all’arte contemporanea che, nonostante il boom di interesse degli ultimi anni con grande partecipazione di pubblico di tutti gli eventi ad essa collegati, qualcuno ancora non pensa sia arte. Questa mostra nel suo intento divulgativo, ma non certo banale, è strutturata in modo tale da far comprendere a tutti che, per capirla, è necessario abbandonare gli standard classici di valutazione e di giudizio del bello che ci portano a riconoscere arte solo un quadro o una scultura. Ma è invece importante aprire i confini, e mettersi in ascolto dell’autore e della storia che ci vuole raccontare in quell’opera, qualunque sia il mezzo con cui ha scelto di esprimersi.
Veniamo agli artisti. Come si dice nel video: “Tutto è arte”. Talvolta l’arte affronta concetti astratti, ma non irreali. Pensiamo alle emozioni e ai sentimenti che vengono ben rappresentati nell’opera di Marina Abramović una performance reale dal titolo “The artist is present” (“L’artista è presente”). La performance ha avuto luogo al Moma di New York nel 2010: l’artista per 100 giorni consecutivi è stata presente nel museo durante tutto l’orario di apertura, seduta su una sedia, con un’altra sedia davanti a ospitare i visitatori. L’incontro tra i due non aveva un tempo preciso ed era solo fatto di sguardi; spesso entrambi finivano in lacrime, in una sorta di osmosi di sentimenti.
Apparentemente reale invece è l’opera “Couple under un umbrella” (“Coppia sotto l’ombrellone”) di Ron Mueck. La sua esperienza nel settore della scultura e degli effetti speciali, gli consente di creare opere talmente realiste da sembrare vere. Tanto che per evitare questo effetto di iperrealismo, le crea di dimensioni enormi o minuscole. L’enorme scultura dei due anziani sotto l’ombrellone, non restituisce una spiegazione chiara. L’artista ne comunica la relazione dalla posa, ma lascia chi guarda a immaginare la storia dei personaggi, il loro pensiero, la loro vita. Con lo spettatore c’è una sorta di specchio di anime, dove la mancanza di una spiegazione didascalica, lascia spazio alla proiezione e alla fantasia.
Di tutt’altra natura la sala dedicata ad Alberto Garutti e alla sua opera “Temporali”, un’installazione ricreata al Maxi di Roma nel 2009 che vedeva la presenza di 200 lampade a illuminare un laboratorio. Ma l’accensione avveniva solo allo scatenarsi di uno o più fulmini nel cielo del territorio italiano. Un’opera “dedicata a tutti coloro che quando passeranno da qui penseranno ai cielo”, come recita l’artista in una video intervista proposta in mostra.
Potrebbe invece sembrare il manufatto di una ricerca scientifica, ma non lo è. È notissima e anche molto criticata quest’opera dal titolo “The phisical impossibility of death in the mind of someone living” dell’artista inglese Damien Hirst, uno dei più pagati e quotati al mondo, noto per le sue opere provocatorie. “L’impossibilità fisica della morte nella mente di chi vive” propone un faccia a faccia con un uno squalo tigre conservato nella formalina in una teca di vetro. Quella che molti hanno definito una trovata speculativa che niente ha a che fare con l’arte, può anche avere un’interpretazione diversa: l’opera propone una riflessione sulla fragilità umana, sul confine labile tra vita e morte. È insomma guardando quello squalo che ti specchi con la morte e ci devi fare i conti.
Molto materico Anish Kapoor che con il suo “Shooting in to the corner”: un cannone spara cera rossa in un angolo, in una scena di grande impatto emotivo. Il suo amore per il rosso e per la materia, coinvolge a tal punto lo spettatore da dire: “È lo spettatore, e non la vita, che l’arte rispecchia”.
Ha invece un intento di forte critica politica “@Large Ai Weiwei on Alcatraz”, l’opera di Ai Weiwei che dopo la sua reclusione nella prigione americana decide di dare nuova vita agli spazi e creare delle opere all’interno di Alcatraz: ritratti di dissidenti politici creati con i lego, rose bianche in ceramica a riempire i lavandini e grandi draghi cinesi nel refettorio, simbolo di libertà. Un modo di riappropriarsi dello spazio per dargli colore e dignità nuovi.
Una rappresentazione più classica, ma non meno coinvolgente, quella di Jenny Saville che con “Study for Pentimenti” racconta il suo rapporto con la maternità attraverso l’arte figurativa in un continuo riferimento all’arte classica di Leondardo da Vinci e all’iconografia della natività.