Lettera aperta sulla Piattaforma della Danza Balinese a Santarcangelo

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Piattaforma della Danza Balinese - foto di Marco Mazzoni
Piattaforma della Danza Balinese - foto di Ilaria Scarpa
Piattaforma della Danza Balinese – foto di Ilaria Scarpa

 

Care Silvia e Cristina, cari Michele e Fabrizio,

sabato pomeriggio sono venuto a Santarcangelo. All’entrata della sala del Consiglio Comunale [luogo che -sia detto per chi non lo sa- in occasione di questa edizione del Festival ospita la vostra Piattaforma della Danza Balinese] c’era un tavolino con sopra un Questionario Balinese. Vorrei partire da due domande essenziali che ho trovato lì: «Il nuovo è riconoscibile? O cercarlo significa cercare di creare le condizioni perché qualcosa di irriconoscibile possa accadere?».

Credo che la Piattaforma dell’anno scorso avesse una sua luminosa irriconoscibilità che in ciò che ho visto sabato mi pare sia un po’ mancata.

L’inizio è stato folgorante: tre ragazzi in canottiera gialla e blu dell’Atletica Rimini Nord, guidati da un allenatore pervicacemente entusiasta, ci raccontavano tra ostacoli alti e bassi e «colpi di avampiede» di un allenamento del corpo non estraneo, come certo non lo è mai stato il teatro, a un marcato agonismo e a una feconda cocciutaggine. Alla fine un applauso un po’ disorientato, piuttosto di circostanza. Ho pensato: questi quattro inventori della Piattaforma sono geniali. Giocano con le nostre aspettative, con le etichette, con le categorie. Piattaforma come hub fenomenologico, ho pensato. E in silenzio vi ho ringraziato.

Poi, dopo quattro ragazze di una qualche -immagino- scuola di danza locale, si è passati a una serie di proposizioni che un po’ mi sono dispiaciute.

Piattaforma della Danza Balinese - foto di Marco Mazzoni
Piattaforma della Danza Balinese – foto di Marco Mazzoni

 

Spiego: da tempo sono un vostro ammiratore, e lo sapete. Se vengo a vedere uno spettacolo di Di Stefano, di Favale o di Cristina Rizzo mi aspetto di vedere i modi, e i mondi, di Di Stefano, di Favale e di Cristina Rizzo. Come quando uno ordina una pizza capricciosa e legittimamente si aspetta di trovarci sopra qualche carciofino.

Ma la Piattaforma, almeno per come l’ho intesa io l’anno scorso, non è una rassegna/sezione di danza dentro al Festival, è proprio una cosa altra.

Nel 2014 mi è parso che sia stato altro: qualcosa di salvificamente irriconoscibile.

Sabato pomeriggio, mentre guardavo voi e i danzatori vostri ospiti fare benissimo ciò che è lecito aspettarsi da voi e da loro, mi sono venute in mente alcune domande, che vi propongo qui.

È possibile negare il proprio stile?

Meglio: è possibile farlo esplodere?

Rendersi letteralmente irriconoscibili?

Disintegrarsi?

È possibile (auspicabile?) consistere di scomparsa?

Piattaforma della Danza Balinese - foto di Marco Mazzoni
Piattaforma della Danza Balinese – foto di Marco Mazzoni

 

Ho pensato che mi piacerebbe incontrare una proposta di danza che insegni a divenire fantasmi. Altrimenti il rischio, mi viene da dire, è che la Piattaforma diventi una specie di Santarcangelo off, dove magari trovano spazio alcuni artisti non presenti nel programma ufficiale – e dunque, per dirla tutta: un’occasione di affermazione di tanti ego. Io io io, mio mio mio. Mentre il bello della Piattaforma dell’anno scorso, secondo me, era che non apparteneva a nessuno. Era un luogo trasparente.

Avete scritto nel Questionario: «Dire danza è dire individuale o collettivo?». Eccoci.

Cosa dovrebbe fare, dunque, chi come voi si prende la responsabilità di inventare un posto così fuori formato? Farsi contenitore vuoto, forse. Scantonare di continuo. Dribblare verso un altrove. «Di quale altrove andiamo vaneggiando?», dite. Touché.

Mi viene da pensare a Michel De Certeau, là dove riflette sulla «necessità di fondare il posto da cui [si] parla». E aggiunge: «Tale posto non è affatto garantito da enunciati autorizzati (o “autorità”) sui quali il discorso poggerebbe, e neppure da uno statuto sociale del locutore nella gerarchia di un’istituzione dogmatica […] il suo valore proviene unicamente dal fatto che si produce proprio nel punto dove parla il Locutore […] la sola autorizzazione gli viene dall’essere il luogo di questa enunciazione».

Farsi luogo, dunque.

E per di più: irriconoscibile.

Vi abbraccio,

MICHELE PASCARELLA

 

Vista a Santarcangelo di Romagna (RN) l’11 luglio 2015, ore 17-19 – info: santarcangelofestival.com

 

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