È arrivata l’estate.
Desidero sperimentare, per una parte dei lavori che vedrò nei prossimi mesi, una modalità di restituzione che funziona così: durante gli spettacoli prendo alcuni appunti sul mio taccuino. Inevitabilmente (anzi: intenzionalmente) frammentari.
A seguire li ricopio qui.
Nessun approfondimento.
Alcuni lampi.
So già che qualche artista vanitoso si offenderà «perché la sua ricerca richiederebbe ben altra attenzione» rispetto a queste poche righe.
Pazienza.
Mi consolo in anticipo con Ennio Flaiano: «Il segreto è raggiungere da professionisti la disinvoltura dei dilettanti, non prevalere, far credere che la cosa sia estremamente facile, un divertimento che trova la sua ragione di esistere nel fatto di essere più leggero dell’aria».
Buona lettura.
L.A.N.D. Where is my love
Sonoro sintetico battente. Un controluce illumina a onde cinque corpi che stanno. E reiteratamente scompaiono. Introduzione come dichiarazione di sfuggevolezza, basterebbe questo.
Un lui dinoccolato, stop e linee oblique di schiena e braccia, rotazioni a gambe aperte sul tappeto bianco.
Lui e lei, sincroni non precisissimi, peccato. L’esattezza è necessaria a ogni dichiarazione. L’atto bianco di Giselle eseguito dal Teatro Mariinskij a Ravenna, qualche mese fa: una dichiarazione di guerra.
Entra Annamaria Ajmone e cambia la densità dell’aria intorno. Un solo a onde e rimbalzi. Danza a bocca aperta, compone figure combattendo. Pensiero-corpo: tai chi chuan. Daniele Ninarello e Cristina Rizzo ci vedono lungo: loro sì che sanno sceglierli, i compagni di lavoro.
Guardo questa danza come si guarda un combattimento. «Non c’è niente da capire, basta guardare». Goffredo Parise, oggi.
I corpi misurano il luogo nelle diverse direzioni. Corpi-Teatro: «percepire che è anche agire» direbbe Jean-Luc Nancy, appunto.
Rotazioni: accordarsi al luogo. Michel De Certeau e la necessità di diventare il luogo da cui parlare, «essere il luogo di questa enunciazione». Non solamente abitare, o lavorare, in un luogo, bensì incarnare, divenire, farsi luogo.
Il coraggio e la maestria del non fare, o del fare cose poco vistose. Francesca Proia docet.
Questo suono ritmico e sintetico mette il non fare inequilibrio. È di Adriano De Micco e Stefano Risso, perfetto.
Combinazioni tribali in cerchio, accennate, che subito si smontano. Gran dinamismo di arti e schiene. Corrono in cerchio, corrono veramente, ci passano vicino e l’aria si sposta. Forse la danza è anche questo: muovere insieme qualcosa di invisibile.
E poi sincroni a cinque, tutti i corpi vicini. Rotazioni e colpi di schiene e teste alternati a esplosioni saltellanti nello spazio, un po’ uno stilema di DN: anche la propria casa è un luogo a cui tornare, di tanto in tanto.
Italo Calvino pubblica Le città invisibili nel 1972. Nei mesi a seguire rilascia varie interviste in cui parla di questo libro. In una di esse descrive «uno spazio in cui si deve entrare, girare, magari perdersi, poi trovare un’uscita, o magari parecchie uscite». Perfetto, ora.
Un solo di DN in mezzo a una luce blu, su musica ritmatissima e rotolante. Mi sa che si va verso il finale.
Infatti.
Rettangolo di luce bianca sul fondale. Rotazioni da derviscio. Stop. Buio.
Trascendere: oltrepassare un limite, superare una recinzione. Come un fiume che, uscito dall’alveo, estende altrove la propria azione. Nell’epoca delle mille negazioni Ninarello tiene pervicacemente al centro il corpo.
Walt Withman: «Ma se il corpo non è l’anima, l’anima dov’è?».
MICHELE PASCARELLA
Visto a Castiglioncello (LI), Castello Pasquini, 2 luglio 2015, ore 20 – info: armunia.eu