L’horror riesce ad essere, da sempre, uno dei generi artistici più allegorici, forse perché ha a che fare direttamente con la morte, che è la vicenda umana più complicata da afferrare con gli strumenti della vita e dei sensi. La morte si nasconde dietro ad un velo di inenarrabilità, come qualcosa che si percepisce, c’è, si sente ma non lo si può descrivere, fermare o indicare. Non si può dire: lì c’è la morte, sento la morte, sto toccando la morte, vedo la morte. La morte esiste e ci segue. Lenta ma inesorabile, ti coglie laddove meno te lo aspetti e boom…
La morte è come quel gioco che si faceva da piccoli, della “Suora” detto anche “Tua la Prinz”, in cui si toccava un amico vicino e si scappava con le dita incrociate per non ricevere più la “suora” o la “prinz”. Anzi, quel gioco forse lo si faceva proprio per esorcizzare la morte, per passarla a qualcuno che doveva, e poteva!, a sua volta trasferirla, in una contiguità di intenti che rendeva, quel tocco, qualcosa di vivificante: ti passo la morte per rimanere vivo ma ti do anche lo strumento per passarla a tua volta, per fregarla, sto cazzo di morte.
In It Follows, opera seconda di David Robert Mitchell, regista del Michigan, il passaggio vivificante è ancora più metaforico, visto che i protagonisti si passano la morte scopando: nei sedili delle automobili, in letti d’ospedale, su divani sfatti, su barche in secca. E quindi nel film l’atto in sé, il “fare l’amore”, non è, come da qualcuno indicato altrove, una metafora dell’aids e dei pericoli del sesso libero. Lo sarebbe se rimanesse taciuto, se il primo ragazzo che vediamo attuare questo passaggio, se ne andasse per i fatti suoi lasciando la protagonista nelle pesche. Anzi! È il suo opposto: attraverso il sesso, e la sua narrazione salvifica, si rende più vivo il genere umano, gli si permette di allontanare la morte, che segue ma che deve prendersi il suo tempo per trovare la nuova vittima. Una vittima sfuggente all’infinito, se il mondo continua a riprodursi e a fare sesso.
Si badi però, niente di trascendentale o che possa renderlo VM 14. Anzi: il tutto, anche l’orrore, è raccontato più per significati che significanti. I defunti che inseguono non raggiungono mai il proprio scopo “in diretta”, l’erotismo rimane sempre velato da una coltre: finestrini, ellissi, lacrime, lenzuola…
Allora, cos’è che rende It Follows uno degli horror imperdibili della stagione? Forse proprio questo suo atteggiamento di distaccata nobiltà e, nel contempo, il suo essere esattamente nel tempo che racconta. Potrebbe essere il perfetto film tratto da un libro di Stephen King: è un romanzo di formazione (o, come usa dire oggi, un coming-of-age) inserito in un ambiente cittadino che racconta il proprio sfacelo, un film in cui gli adulti scompaiono (quasi) completamente per lasciare la scena ai giovani protagonisti, adolescenti in cerca di un equilibrio che si fa attraverso la definizione della propria essenza sessuale. E il mondo è come immerso in un colossale crepuscolo che ricorda le canzoni degli Smashing Pumpkins (and the embers never fade in the city by the lake) o nelle ballate tristi del Boss (whitewashed windows and vacant stores).
Un film in cui la mano dell’autore diventa riconoscibile in panoramiche atarassiche e in inquadri che procedono per slittamenti laterali (in questo senso geniale, in apertura, quello che sposta l’attenzione dalla coppia seduta al diner alla sola protagonista e poi, in un fuorifuoco da brividi, a ciò che compare dietro di lei, sulla strada, sempre mantenendo il centro fisso e imperturbabile). Un film che rompe qualche schema senza volerlo fare per forza.