Van Morrison ce lo avete bene in mente, no? Irlandese duro come il granito, modi bruschi e molto scostanti, capace di ribaltare intervistatori colpevoli di mezza domanda errata, litigioso con molti suoi colleghi – beh, nel biennio 2014-15 tutto ciò sembra entrato in un incantesimo, praticamente Van Morrison è diventato buono tutto d’un tratto. Rilascia interviste, e risponde – incontra il pubblico, e si concede (l’ho visto con i miei accadere alla presentazione di un suo libro) – addirittura si fa produrre da un tizio famoso per il suo lavoro alla console, Don Was, e pubblica un disco di duetti mezzo riuscito e mezzo no con vecchi amici e nuove piccole star che secondo i canoni per come conoscevamo il Cowboy di Belfast mai lo avremmo immaginato – al massimo lui dettava con Ray Charles, Bobby Bland, B.B. King, la Band e John Lee Hooker, e quasi sempre al loro servizio. Se tutto questo lo avessero raccontato solo due anni fa, praticamente nessuno vi avrebbe creduto. Avranno resuscitato Mago Merlino perché tutto ciò avvenisse, forse!
Disco riuscito o no, su Duets/Re-Working The Catalogue i pareri sono discordanti (ed è un bene), le attese per la sua uscita dal vivo nella magnifica cornice di Piazza della Loggia a Brescia, baciata da un gran sold out, erano alte. E francamente qualcosa anche qui va criticato – Van ha cantato bene ma per gran parte dell’esibizione non ha dato i sussulti emotivi che ci si attende da lui, anzi, l’effetto di ordinario timbro del cartellino ha serpeggiato per tutto lo show o quasi. Inoltre, la band sembra spesso con il piede sul freno, con il fastidioso sospetto che sia un’ordine che arrivi dall’alto, da Van stesso – tanto più che, ironia, nel finale, quando l’Irlandese lascia il palco definitivamente, il gruppo sgasa con una gran coda strumentale in Gloria, l’universale inno dei Them – e a proposito di Them, è innegabile che un bel figurone l’abbia fatta pure Baby, Please Don’t Go di Sonny Boy Williamson, condita a medley con morsi per palati fini come Parchman Farm, Cry Cry Baby e Don’t Start Crying Now.
Quello che manca, davvero, al gruppo è decisamente una sezione fiati, benché Van si diverta al sax – la musica di Morrison perde molto senza gli arrangiamenti degli ottoni, apparso chiaro quando è stata la volta di numeri come Bright Side Of The Road, In The Garden, Real Real Gone – che bello però sentirlo gridare come solo lui sa fare che Sam Cooke è alla radio – o Days Like This. Al contrario, tuttavia, l’economia di suono, chiamiamola così, pare aver giovato alle nuove vesti fatte sopratutto di attenuazione riservate a Moondance e a Sometimes We Cry, ribaditi anche nei due omaggi ritagliati a un paio di numi tutelari dell’arte morrisoniana: B.B. King con Early In The Morning (sebbene, in verità, in origine scritta dal leggendario Louis Jordan) e Ray Charles con I Can’t Stop Loving You, che non manca mai.
Decifrare Van Morrison è sempre stato difficile, operazione complicata anche adesso – da una parte rilassatezza che sembra tarpare la musica e dall’altra forse l’Uomo mostra le quasi settanta primavere un po’ autunnali che l’anagrafe non mente di sottolineare. Anche se, evidentemente, è rispettabile, molto rispettabile che egli non faccia il finto-giovane come capita a molti suoi suppergiù coetanei – Bruce Springsteen insegna, fra i tanti.
Visto il 6 giugno in Piazza della Loggia a Brescia
CICO CASARTELLI