Che simpatiche istituzioni furono le case discografiche (c’erano una volta…), le quali pur di vendere qualche misera copia in più approntavano comunicati stampa assolutamente fuori luogo puntualmente copia-incollati dai media (e in Italia ve ne sono decine di esempi di pennivendoli che hanno fatto così). Prendiamo i Primus, inossidabili sia nei dischi come prova l’ottima ritorno dello scorso anno, Primus & The Chocolate Factory ispirato niente meno che alla leggendaria colonna sonora firmata da Leslie Bricusse e Anthony Newley per Willy Wonka & The Chocolate Factory, film del 1971 con protagonista un indimenticabile Gene Wilder, sia nei concerti come ribadito alla grande anche in questa loro unica apparizione nostrana dell’estate – dicevamo, prendiamo i Primus che furono presentati come un gruppo grunge tipo Pearl Jam o Soundgarden, quando con quella musica hanno pressoché nulla a che fare e, anzi, francamente ne sono l’antitesi, sia per qualità tecniche di ben altro spessore sia per contenuti della loro opera, sarcastica e dissacrante in diretta discendenza delle Mothers Of Invention. Insomma, opinioni campate per aria che giocoforza passate attraverso i media contemporanei, su tutto campioni di approssimazione, diventano dei veri “mostri” i quali etichettano le cose in modo affrettato e spesso irreversibile. Evitare di prendersela, comunque – al massimo farsi due risate sulla limitatezza del tutto.
Le finezze e le citazioni a un happening dei gruppo di Les Claypool non si contano – oltre ai numi tutelari delle Madri dell’Invenzione, i Primus sanno giocare con un po’ di tutto fra Pink Floyd e Tom Waits – quest’ultimo ricordiamo amico, ammiratore e pluri-collaboratore della band di Frisco – King Crimson e Captain Beefheart, Grateful Dead e Led Zeppelin – chissà quanti avranno riconosciuto la fuga strumentale sul tema di Dazed And Confused – Minutemen/fIREHOSE e bluegrass, metal e i migliori Red Hot Chili Peppers – sì, sono esistiti dei RHCP migliori! – senza confini, insomma. Il punto è che i Primus non sono una band sovrastrutturata, non mettono insieme messe cantate (se vi vengono in mente Eddie Vedder e soci, avete capito bene) ma accompagnano in un giro in giostra assolutamente mozzafiato dove l’imprevisto regna sovrano – danno di gas quando vogliono, frenano e ripartono come schegge a loro piacimento – insomma, hanno padronanza assoluta della fuoriserie che conducono, tanto più che questa classica line-up con accanto allo straordinario basso di Claypool la chitarra a fiamma ossidrica di Larry Lalonde e i tamburi sempre in poliritmia di Tim “Herb” Alexander resta la migliore fra le diverse proposte – e quando tocca presentare tutto Primus & The Chocolate Factory con la formazione potenziata a cinque tutto rende alla perfezione la sofisticatissima allegoria lisergica che sta dietro alla pellicola e relativo score. Alla fine, se vogliamo parlare di esplosioni improvvise quali My Name Is Mud o di percorsi progressivo-psichedelici come Wynona’s Big Brown Beaver, delle montagne russe sonore Lee Van Cleef o del passo marziale di American Life, per finire con la sempre minacciosa Southboud Pachyderm (il loro capolavoro?) – benvenuti, i Primus sono degli accademici che spiegano tutto per filo e per segno “come dove chi quando e perché”.
A margine, bisogna segnalare un’organizzazione molto deficitaria, con lo staff che ancora quasi alle 21,30 stava facendo entrare uno alla volta gran parte del pubblico – chiaro che se si aprono i cancelli alle 20,45 non si può non pretendere un intasamento di 2/3000 persone all’entrata. E sempre in tema di deficit organizzativi, anche la qualità dell’impianto audio con suoni molto bassi rispetto alla norma ha fatto soffrire i numerosi accorsi a quello che, in ogni caso, è stato uno splendido concerto. La solita, vecchia storia: da molti promoter italiani, specie quelli più ricchi e famosi, oramai non è più possibile attendersi altro che reiterato pressappochismo.
CICO CASARTELLI
Visti il 13 giugno al Carroponte di Milano