The the chore of enchantment: Giant Sand, il concerto di Lucerna

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howe 1Trent’anni di Giant Sand con indiscusso capotreno Howe Gelb – nel mio piccolo di questi trent’anni ne ho accompagnati quasi venticinque in diretta poiché comprai alla pubblicazione Ramp (1991), strepitoso album che ricordo in ogni suo particolare come se lo avessi udito stamane per la prima volta – ah, quanto darei per poter ascoltare ancora per la prima volta certi album che dico io! Dicevo, trent’anni pavimentati di dischi assolutamente imperdibili per ogni serio amante della musica contemporanea – oltre che senza Ramp, come si potrebbe vivere senza Valley Of Rain (1985), Storm (1987), Swerve (1990), Center Of The Universe (1992), Stromausfall (1993), Good And Service (1995), Chore Of Enchatment (2001, in assoluto il “mio” album dei Giant Sand) oppure Tucson (2012)?

Beh, dalle mie parti non si potrebbe! Trent’anni, dove fra le fila dei Giant Sand sono passati grandi calibri come Winston Watson (Bob Dylan), John Convertino & Joey Burns poi convertitisi al verbo Calexico, l’angelo cui troppo presto si spezzarono le ali Rainer Ptacek, Chris Cacavas (Green On Red), David Mansfield (Alpha Band, Rolling Thunder Revue), fra i tanti. Insomma, una storia importante, di quelle vere, di quelle che la loro musica l’ascolti perché ti importa molto di quello che stai ascoltando.

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Heartbreak Pass è il disco che mette suggello a tutto questo, con amici vecchi e nuovi (Grandaddy, Steve Shelley, Grant-Lee Phillips, Common Linnets, John Parish, il ritrovato Winston Watson) – senza scordare conoscenze italiane (Vinicio Capossela e Sacri Cuori). Un disco che merita anche delle uscite dal vivo degne di trent’anni di Sabbia Gigante – poiché qualche volta Howe Gelb è stato criticato anche dai suoi più fervidi sostenitori di una certa incostanza quando su di un palco – anche se è bene affrettarsi a chiarire che se di incostanza si parla, trattasi di quella di un musicista a dir poco geniale («Non mi piace fare le prove perché mi sembra di imbrogliare – è pieno di band che fanno le prove e sono lì a fregarvi», la battuta della serata). Non questa volta, tuttavia, siccome Howe e i suoi attuali pard euro-yankee, atterrati letteralmente due ore prima dello spettacolo da Tucson («La sensazione è quella di essere nove ore avanti nel futuro», il solito gran battutista Howe), portano dritti a un bel giro in giostra di quelli che onorano una storia di arte vera come la loro – quella che in pezzi leggendari come Shiver (usare termini come “capolavoro” non sembri esagerato), Chunk Of Coal, addirittura Tumble & Tear direttamente dal primo album (e qui passa davanti l’intera storia di un gruppo epico: i Giant Sand!), fino ai bei momenti ancora da metabolizzare del nuovissimo album (Transponder, Home Sweet Home, Heaventually, Gypsy Candle), dicevamo arte vera che non si fa certo fatica a scorgere. Aggiungere poi un bel finale dove tutto si confonde: Blue Eyes Crying In The Rain (Willie Nelson), Pale Blue Eyes (Velvet Underground) e What A Wonderful World (Luois Armstrong).

Per il resto, vale quanto il sottoscritto affermò anni fa in una rivista italiana di musica – Howe Gelb è così brillante che, quale grandissimo jazzman di frontiera qual egli è, può suonare Hank Williams come lo farebbero i Black Sabbath e ugualmente suonare i Black Sabbath come lo farebbe Hank Williams – tanto Howe lo fa sempre come se a unire tutto ci fosse Thelonious Monk. Sempre il sottoscritto di averlo affermato non se ne pente minimamente – anzi, rilancia. Per il resto, la parola ancora a Gelb sempre più a ruota libera: «Ho bisogno di un intero giorno per avere un singolo pensiero sensato» – come non amarlo?

 

CICO CASARTELLI

Visto il 14 maggio al Südpol, Luzern, Svizzera

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