Finalmente, è arrivato – la band più pensante del rock americano del nuovo Millennio, naturalmente i My Morning Jacket, sono tornati con The Waterfall – seguito di quel Circuital (2011) a tratti esaltante ma pure a tratti leziosetto. Nel frattempo Jim James ha svariato su più fronti – ha portato i suoi in tour con Bob Dylan e Wilco, ha fatto le sue solite collaborazioni a 360° e soprattutto ha inciso un disco in proprio già splendido fin del titolo, Regions Of Light And Sound Of God (2012).
Per il nuovo album, informano le note fornite dai MMJ, James e i suoi si sono immersi nella quiete di un luogo remoto non nel natio Kentucky bensì nel nord della California – un po’ come fecero i Led Zeppelin a Bron-Yr-Aur oppure i Traffic ad Aston Tirrold oppure, ancora, la Band a Woodstock, tutti gruppi che attraverso la quiete del ritiro in luoghi appartati regalarono alcuni fra i loro massimi capolavori. Scomodare quei nomi non significa che i MMJ valgano quelle pietre miliari, solo il tempo potrà dirlo, ma certamente si può azzardare che la formazione sia una di quelle chiave della musica americana contemporanea, quella degli ultimi quindici anni.
The Waterfall è un disco complesso, con molte chiavi di lettura – e la più fantasiosa ma anche aderente alla realtà è che i MMJ per l’occasione abbiano mischiato le carte come fanno i migliori croupier – insomma, tutto suona come se Marvin Gaye e Curtis Mayfield fossero accompagnati da un gruppo sospeso fra (limitati) accenni prog e la Band (solo a Jim James poteva riuscire un colpo del genere!).
Siamo all’antitesi di quello che per chi scrive resta il loro miglior album, At Dawn (2001), dove i MMJ giocavano alla sottrazione – mentre ora il gioco dei rimandi e dell’addizione stilistica è praticamente un vortice (visto il titolo, che il vortice sia d’acqua?).
Il fantasma della Band quando si parla di MMJ aleggia sempre, paterno e inequivocabile, solo che Jim James & Co sono così furbi che non si rifanno allo stereotipo dei primi due album-monolite del gruppo di Robbie Robertson, non cercano di imitare l’inimitabile vena ribelle di Levon Helm né l’hipster-ismo di Richard Manuel – semmai, come fini ricercatori, giocano fra le pieghe, si rifanno molto, moltissimo agli arrangiamenti di Garth Hudson e alle tarde uscite della Band, su tutte il capolavoro Northern Lights-Southern Cross (1975) – e un giorno sarebbe bello discutere quanto quell’ultimo, assolutamente in anticipo di decenni viste le tendenze attuali di molta musica americana, sia troppo spesso dimenticato all’ombra di Big Pink e del Brown Album.
Il cuore di The Waterfall è proprio lì, nel Band-ismo che è ovunque ma non è copia – che si tratti del potente passo di Spring (Among The Living) e nell’acquarello acustico Get The Point, di Tropics (Erase Traces) che a un certo punto si spinge addirittura a uno stacco di gran stile Zeppeliano o di Only Memories Remain che mostra come James & i Jacket la sappiano lunga con quel falsetto che sembra un perfetto Impressions – e chi ne capisce, sa quanto la Band fu debitrice di Curtis Mayfield e compagni. Per non parlare di come In Its Infancy (The Waterfall), fra moog e tastiere varie, sia lì chiaramente a rendere omaggio a Garth Hudson appunto.
L’ultima lemma, però, sia di Jim James, il quale di recente ha spiegato il suo punto di vista con parole chiare e condivisibili: «La musica è libertà. L’idea di limitare l’esperienza musicale è, a mio avviso, assurdo. Cresci e impari, con la speranza di non ripetere gli errori fatti – o perlomeno di fare errori diversi, fatti con buona intenzione».
Per il resto, buon bagno – qui la Cascata è fresca e rigenerante – e la musica dei My Morning Jacket ne fa perfetto eco.
CICO CASARTELLI
MY MORNING JACKET
The Waterfall
ATO Records