Michele Francesconi ha pubblicato di recente Bologna Skyline, un disco realizzato insieme ad Andrea Ferrario e uscito per l’etichetta romana Alfamusic. Le atmosfere del jazz elettrico sono la cornice all’interno della quale trovano posto dieci brani dal passo spigliato, nati dalla collaborazione avviata da oltre due anni tra il pianista e il sassofonista. Dieci composizioni mature e capaci di valorizzare le capacità dei musicisti che i due leader hanno chiamato a suonare con loro. L’uscita del disco e il tour di presentazione all’inizio di aprile, che comincia a Faenza mercoledì 1 aprile allo Zingarò di Faenza, diventano così l’occasione per parlare con Francesconi di Bologna Skyline, ma anche degli altri progetti musicali, della sua attività didattica e di una realtà importante del nostro territorio come appunto lo Zingarò.
Michele, come nasce Bologna Skyline?
Un paio di anni fa, con Andrea Ferrario, abbiamo iniziato a ragionare su alcune composizioni in quartetto. Brani ispirati alla fusion, al jazz elettrico degli anni ’70 e ’80, atmosfere particolari, groove meno usuali, temi articolati, metriche complesse. Naturalmente, siamo arrivati all’utilizzo degli strumenti che hanno caratterizzato i dischi di quel periodo: tastiere, basso elettrico, la voce di Massimiliano Coclite a fianco degli altri strumenti. Una volta individuato il nostro “terreno di gioco”, abbiamo cercato di creare lo spazio per le differenti personalità e le capacità dei musicisti che abbiamo invitato a suonare con noi e che sono, oltre al già citato Coclite alla voce e alle tastiere, Alex Carreri al basso elettrico, Stefano Pisetta alla batteria e Danilo Mineo alle percussioni. In particolare, Carreri e Pisetta completeranno il quartetto nei quattro concerti di presentazione che terremo ad aprile: saremo il primo aprile allo Zingarò Jazz Club di Faenza, giovedì 2 al Well in Jazz di Trento, venerdì 3 al Jazz&More di Verona e infine, sabato 4 aprile, al Bravo Caffé di Bologna.
Sono atmosfere diverse da quelle solitamente presenti nei tuoi lavori…
Si, in effetti, in questo lavoro ho sperimentato un linguaggio diverso: ci troviamo sempre all’interno del jazz, ma secondo una prospettiva che non avevo frequentato tantissimo negli anni passati. Il mio interesse per la composizione e l’arrangiamento, in ogni caso, lo ritroviamo anche in Bologna Skyline. Insieme ad Andrea, abbiamo davvero cercato di lavorare sui particolari di questi brani: è stato un percorso che ci ha impegnato per diverso tempo, a fianco dei progetti che ciascuno di noi coltiva con altri musicisti, e che ha portato a un lavoro curato nei minimi dettagli proprio per poter riuscire a dare il nostro punto di vista personale su un linguaggio molto specifico come quello della fusion. Un lavoro di continua rivisitazione che ha portato a quattro brani firmati a due mani, cosa non molto frequente nel jazz; un lavoro pignolo, se si vuole, ma necessario per poter esprimere nella nostra musica spunti attuali e contemporanei, per poter dire qualcosa di nostro ed evitare, soprattutto, di rimanere intrappolati all’interno degli stilemi del genere.
L’altro aspetto di questo disco è l’attenzione che avete dedicato ai suoni.
Esatto: la questione è nell’approccio con cui si affronta un lavoro musicale. Per quanto Bologna Skyline possa richiamare le atmosfere e il mood del jazz elettrico, non aveva molto senso realizzare una copia conforme di quel repertorio. Abbiamo scelto una strada leggermente diversa: diamo all’ascoltatore le nostre coordinate di partenza, ma poi lasciamo passare il nostro mondo espressivo. Le sonorità scelte per i brani sono forse l’esempio più chiaro di tutto questo: tastiere, voci, sassofono e basso elettrico fanno capire dove ci troviamo e, poi, in sede di costruzione e registrazione, abbiamo agito secondo uno spirito ben preciso. Siamo stati coerenti con i presupposti di partenza ma li abbiamo usati con il giusto grado di libertà: siamo stati rispettosi, ma non ci siamo necessariamente schiacciati sui riferimenti utilizzati. Ciascuno di noi ha le sue esperienze musicali ed è giusto, da una parte, e inevitabile, dall’altra, ritrovarle nel nostro modo di suonare, qualunque sia il repertorio.
In effetti, i tuoi dischi più recenti sono stati tutti acustici, per lo più…
Del tutto, direi… (sorride – n.d.r.) Sia il Recital Trio, dove ho collaborato con Paolo Ghetti e Carlo Canevali, che Twice, registrato con la voce maschile di Massimiliano Coclite e la ritmica formata da Ghetti e Paternesi, e Skylark dove c’era la voce femminile di Laura Avanzolini e la ritmica di Giacomo Dominici e Marco Frattini, erano centrati su sonorità acustiche ed essenziali: pianoforte, voce, contrabbasso e batteria, nient’altro. Se vuoi, è stato il modo per mettere in evidenza le necessità dell’arrangiamento, della manipolazione che ho fatto insieme ai musicisti coinvolti dei brani più celebrati del jazz, come gli standard, e delle composizioni di jazzisti italiani emergenti, come fu nel caso del Recital Trio. Bologna Skyline è stato un passaggio importante anche per questa sua formula più ampia e più variabile, per il confronto con dinamiche sonore differenti… per vedere come potevano funzionare la mia scrittura e certe mie idee per i brani.
Nel prossimo futuro, invece darai alle stampe un metodo didattico: quindi, ancora una prova diversa dal solito…
Diversa, ma non del tutto. Certo, non mi ero ancora misurato con la pubblicazione di un testo didattico, ma da sempre pubblico sul mio sito (www.michelefrancesconi.com) lezioni, esercizi, riflessioni e testi che hanno comunque a che fare con l’insegnamento. Ho iniziato presto ad insegnare e ho maturato un’esperienza ormai solida nei Conservatori – in particolare, in quelli di Adria, La Spezia e Cesena – e in scuole di grande prestigio come, ad esempio, la Scuola Sarti di Faenza. Il testo verrà pubblicato dalla prestigiosa casa editrice Volonté di Milano e si intitolerà Pianoforte Complementare in Stile Pop-Jazz. Ho messo a punto un metodo innovativo per l’accompagnamento dei cantanti e nel libro cerco di offrire gli strumenti al pianista per riuscire ad ottenere il massimo da un “esercizio”, essenziale quanto esigente, come quello di accompagnare un cantante. All’interno del libro ci sono alcune novità che vengono pubblicate per la prima volta e, devo dirlo, ne sono orgoglioso: ritengo siano utili per dare una interpretazione semplice e personale del dialogo tra pianoforte e voce. Naturalmente, non posso svelare di più..
Infine, la direzione artistica dello Zingarò Jazz Club di Faenza. Si sta per chiudere l’undicesima stagione e la domanda è quasi scontata. Qual è il tuo bilancio della stagione e quali saranno gli obiettivi per il futuro?
Sono davvero contento della stagione dello Zingarò, come delle precedenti peraltro. È una realtà che è sempre cresciuta e, ormai, si è imposta all’attenzione di tutto il panorama nazionale del jazz. Abbiamo scelto da sempre di ospitare progetti, solidi nel tempo, di musicisti italiani e questa formula alla lunga ci ha dato ragione e ci ha reso possibile portare nel nostro club davvero i più interessanti talenti emergenti del jazz. Senza perdere di vista, inoltre, la presentazione di libri e delle realtà che gravitano intorno al jazz. Quest’anno, poi, abbiamo portato, per la prima volta assoluta all’interno di un jazz club, un lavoro “teatrale” come Piani Diversi in cui il musicologo Maurizio Franco dialoga con due pianisti – uno del mondo classico, Denis Zardi, e uno del mondo jazz, Enrico Intra – per un confronto di altissimo livello tra generi e modalità sonore. Beh, portarlo nel nostro club è stata una scommessa vinta, ma non sarebbe stato possibile nemmeno tentarla, se non avessimo fatto tutto il percorso fatto nelle precedenti stagioni.
FABIO CIMINIERA