Sopravvive da quindici anni il Premio Pascoli Poesia, concorso di poesia in italiano e dialetto che negli anni ha visto concorrere pesi massimi italiani e internazionali come Mario Luzi, Giovanni Giudici, Yves Bonnfoy, Adonis. E continua a farsi strada nella crisi culturale che affligge il Paese dei letterati e dei poeti. Ne abbiamo parlato con Miro Gori, poeta e ideatore dell’iniziativa, tra autocoscienza, orgoglio e lucenti visioni.
Come è nato il premio? «Questo paese è il luogo natale di Giovanni Pascoli. Non solo: ricorre nella sua poesia e ne è un fondamento. Direi che tutto nasce di qui. Quando lo proposi, l’intento principale era ricordare Pascoli e promuovere, ovviamente, la poesia: con un premio alla carriera, uno alla poesia edita in italiano e l’altro alla poesia in dialetto. Subito vi hanno partecipato i principali poeti e case editrici. Da ultimo abbiamo introdotto un premio all’opera prima, alternato di anno in anno, col dialetto. Il premio, prima di tutto, vuole essere e diventare sempre più un luogo di visibilità per esordienti».
Perché la poesia in Italia fa sempre meno notizia? «È la cultura in genere che subisce questo destino. E la poesia in particolare. Perché muove meno interessi e meno denaro di altre forme. Basti pensare a certe mostre d’arte o alle tirature di alcuni romanzi. Incomparabili rispetto a quelle dei libri di poesia».
Cosa è cambiato nel rapporto tra poesia e cultura? «Il discorso è complesso ma nella società in cui dominano i cosidetti mercati c’è poco posto per la poesia».
Quello tra la Romagna e la poesia rimane un legame indissolubile che sopravvive e si alimenta anche in virtù della forza espressiva della poesia dialettale, pensiamo a Tonino Guerra, Raffaello Baldini, il cinema di Fellini. Il dialetto è la lingua madre che riconduce alla terra, una lingua che è forma identitaria. Ci sono cose che succedono in dialetto come sosteneva il poeta Baldini? «A partire dall’inizio degli anni Settanta, quando Tonino Guerra pubblica I bu e Fellini (col contributo di Guerra) realizza Amarcord, c’è un rinascimento dialettale. Il grande Baldini, che ne fu un protagonista, affermava che le cose da lui raccontate accadevano in dialetto: il che giustificava la scelta linguistica».
Lei è poeta, agitatore culturale e uomo politico, provi a spiegare come la cultura possa generare ricchezza. «Certo. Non vorrei sembrare autoreferenziale. Ma farò l’esempio di Casa Pascoli a San Mauro che ha annualmente qualche migliaio di visitatori paganti che, in parte, ne ripagano i costi di gestione. Il paradosso è che quella che in Italia dovrebbe essere una strada maestra viene spesso addirittura ostacolata. Nello stesso tempo, però, dobbiamo avere ben chiaro che ci sono fenomeni culturali che hanno bisogno del sostegno pubblico. Per la loro funzione pubblica, appunto».
Esiste contraddizione tra poesia e velocità del consumo? La vera sfida della poesia del nostro tempo è raccontare un presente simultaneo e ronzante? «La vera poesia, per come la vedo io, sfugge a ogni classificazione. Certo non può non avere un legame col presente e con questo presente da molti deprecato. Ma la deprecatio temporum c’è sempre stata».
Le iscrizioni al Premio Pascoli scadono il 30 aprile, giovani poeti affrettatevi.
MARCO BOCCACCINI
Fino al 30 aprile
PREMIO PASCOLI POESIA IN LINGUA E DIALETTO
San Mauro Pascoli, Biblioteca Comunale
Info: 0541 933656, sammauroindustria.com