«Che non è uguale né simile, che si scosta per natura, aspetto, qualità da altro oggetto, o che è addirittura altra cosa»: il vocabolario Treccani definisce l’aggettivo diverso, appropriato per sintetizzare la rassegna di teatro (ma anche di musica e cinema) organizzata a Poggio Torriana dal gruppo teatrale quotidiana.com in collaborazione con altre associazioni e istituzioni della zona.
Diversità intesa, sia detto subito, non come compiaciuta occasione (pseudo-adolescenziale) di definizione identitaria, bensì come opportunità di superare i dati culturali di partenza e produrre esperienza reale. Come messa in discussione delle identità codificate, sia individuali che collettive, mirando addirittura (questo pare essere il donchisciottesco proponimento di quotidiana.com) a una certa oggettività pre- o post-culturale, o meglio: a un qualcosa di terzo, né universale né culturale.
Il teatro immaginato da Roberto Scappin e Paola Vannoni è, etimologicamente, luogo della visione, intendendo l’ultimo termine -evidentemente- non solamente in senso oculare. E IO PAGO! suggerisce uno slittamento dall’idea di teatro come specchio della realtà (riconoscimento del già noto, riconferma dell’identità personale e collettiva: una concezione lasciataci in eredità dall’Ottocento, con i suoi cliché naturalistici) a un teatro che si potrebbe chiamare (alla maniera di Antonin Artaud) doppio della cultura: viaggio verso/nell’altro, esplorazione e confronto con l’alterità, a partire dalla propria. «Alterità intima, essenziale», direbbe Marc Augé.
E IO PAGO! ha collezionato con risorse minime, indegne di un Paese civile, undici variegate e stimolanti proposte performative: dal celeberrimo Raffaello Baldini dialettale e estroflesso di Ivano Marescotti a quello più garbato, labirintico e malinconico proposto con netta maestria vocalica da Silvio Castiglioni; dall’irruenta biografia di Giuseppe Mazzini raccontata con analoga qualità relazionale da Roberto Mercadini alla stuzzicante rassegna -nella notte di Halloween- di film horror introvabili; dal teatro canzone de L’insolito clan all’intelligente ibridazione della crudeltà di Artaud e di quella dell’avanspettacolo operata con disincanto e sapienza da Andrea Cosentino; dalla proposta spettacolare per ragazzi di Teatro Patalò a quella de Gli Omini; dalle interattive e ironiche Aste del Santo dell’ensemble toscano, al contempo iconiche e iconoclaste, all’incontro per celebrare la giornata nazionale contro la violenza sulle donne. Il tutto condito con aperitivi, merende e brevi conversazioni: festa dei sensi e del senso.
Scappin e Vannoni, esigente duo autoriale da anni impegnato a «comporre i silenzi» (per dirla con Pierre Boulez), in questa occasione ha dato prova di lungimirante sapienza curatoriale, proponendo un fecondo e stratificato discorso (termine da intendersi foucaultianamente come «luogo dell’articolazione produttiva di potere e sapere») alla guardinga comunità di Poggio Torriana, schietto gruppo umano così vicino e così lontano -si potrebbe dire parafrasando Wim Wenders- dall’illustre Festival di Santarcangelo, distante sulla carta meno di cinque chilometri.
I fondatori di quotidiana.com si sono assunti la responsabilità di instaurare ciò che Jacques Rancière definisce «regime del sensibile»: un modo di organizzazione delle evidenze che determina il rapporto fra ciò che, in una data epoca o in un determinato contesto (in questo caso: la comunità di Poggio Torriana negli ultimi mesi del 2014) è sensibile e ciò che non è sensibile, fra ciò che è visibile e ciò che resta invisibile e -di conseguenza- fra ciò che è enunciabile e ciò che non lo è. Per chiarezza (e per esempio): a Poggio Torriana si è visto lo spettacolo di Andrea Cosentino, e dunque se ne è potuto parlare, perché Vannoni e Scappin hanno deciso di invitarlo. Se così non fosse stato, l’attore romano non avrebbe potuto dir la sua e noi non avremmo avuto modo di dir la nostra sul suo dire. Fin qui, nulla di nuovo: questo è ciò che fa, con tutta evidenza, qualsiasi direttore artistico, illuminato o meno, di qualunque manifestazione, grande o piccola che sia.
Quel che pare doveroso sottolineare, in questa precisa occasione, è l’intenzione (nell’accezione ancora una volta etimologica di in-tensione, di spinta che dall’interno del soggetto muove verso l’altro da sé).
Se è vero, come scrive Michel Foucalt, che «ogni società si può giudicare dal modo in cui organizza e vive il rapporto con l’altro» la forza di questa proposizione (profondamente) culturale sta nel concentrare due spinte apparentemente opposte: il riconoscimento strutturale che Je est un autre (Arthur Rimbaud docet) e l’ipotesi che esista un fondo comune, transindividuale e transculturale, che ha a che vedere, per dirla rapidamente e sinteticamente, con il corpo, da un lato, e con lo spirito (o anima) dall’altro.
MICHELE PASCARELLA
PS Per alcune nozioni utilizzate sono grandemente debitore a Marco De Marinis e al suo Il teatro dell’altro – Interculturalismo e transculturalismo nella scena contemporanea (La Casa Usher, Firenze, 2011). A lui va, ancora una volta, la mia profonda gratitudine.
Info – Compagnia: http://www.quotidianacom.it/ Centro Sociale: https://www.facebook.com/pages/Centro-sociale-Poggio-Torriana/514343458656042?fref=ts