Pelo Malo, di Mariana Rondón, Venezuela 2013
Siamo in Venezuela, nella capitale Caracas. Le cronache dei telegiornali ci parlano dell’agonia del presidente Hugo Chavez e della gente che si è radunata davanti al palazzo presidenziale. Alcuni di loro si sono rasati la testa a zero, per testimoniare la vicinanza al leader che, dopo la chemioterapia, ha perso i capelli.
Su questo sfondo, quello di una megalopoli caratterizzata dal grande fervore politico e, nei sobborghi popolari, dall’asprezza e dalla violenza dei rapporti sociali, il film racconta una vicenda molto intima, quella della formazione dell’identità di un bambino alle soglie dell’adolescenza.
Nella sua casa, in un grande caseggiato popolare della periferia, dove vive con la madre e un fratello di pochi mesi, il piccolo Junior cerca disperatamente di stirare i suoi capelli crespi, da meticcio. La scuola sta per iniziare e deve portare una fotografia per il suo libretto scolastico. La vorrebbe come si vede nei suoi sogni, in cui è un cantante pop di successo, con i capelli lisci.
Junior è un bambino sensibile ed intelligente. Ci appare al tempo stesso fragile, per certi tratti che lo differenziano dal machismo prevalente e che tendono ad esporlo al ruolo di vittima, e forte, per l’ostinazione con la quale cerca una sua strada nel mondo. La regista è molto attenta a non definire con precisione la sua identità. Da un lato sembra attratto da un ragazzo che gestisce una bancarella sulla strada, dall’altro si sottrae al tentativo della nonna paterna di fargli indossare un abito di merletti (vorrebbe per lui un futuro diverso da quello che sembra il destino comune degli uomini della sua famiglia, uccisi dalla guerra o dalla povertà).
Di notevole profondità è la descrizione del rapporto conflittuale con la madre. Rimasta vedova da giovane, indurita dalle difficoltà della vita e dai tenti compromessi che è costretta ad accettare per sopravvivere, nasconde la sua bontà d’animo (che si manifesta nell’amorevole attenzione per il figlio più piccolo) dietro una estrema durezza, della quale Junior è la vittima principale. Di questa aggressività e freddezza emotiva la regista riesce a mostrare l’ambivalenza. Essa può essere, in parte, il riflesso della violenza del mondo. Ma ci sembra soprattutto un tentativo di difenderlo da questa stessa violenza. Interpreta le sue aspirazioni e la sua sensibilità come il segno di una possibile omosessualità. Attraverso una serie di divieti e di messe in guardia cerca di sottrarlo ad un destino di soccombenza che ai suoi occhi appare segnato. La resistenza di Junior esprime la sua volontà di decidere della propria vita, con uno spirito di apertura e fiducia verso il futuro.
Ha affermato la regista: “A seconda di dove la pellicola è proiettata vengono messi in rilievo diversi aspetti.
Ad Istanbul mi parlano di religione e politica, in America del Sud dicono che il tema affrontato è quello del razzismo, in Europa invece pesa maggiormente il tema dell’identità sessuale. Si tratta di uno spettro molto ampio. Per me il film parla del rispetto dell’altro e delle differenze”.
Il film esce nelle sale a quasi un anno di distanza dall’anteprima italiana al Torino Film Festival, dove ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura e la migliore interpretazione femminile.
Ritorno a l’Avana (Retour à Ithaque), di Laurent Cantet, Francia 2014
l’Itaca del titolo è L’Avana, un luogo mitologico per ciò che storicamente ha rappresentato negli ultimi decenni per la sinistra, l’idea di una società giusta. Lì, su una terrazza che affaccia sul Malecon, si ritrovano, dopo tanti anni, un gruppo di amici, oramai nella fase matura della propria vita. Ai ricordi del passato, rievocati con nostalgia, si affianca un confronto sempre più serrato su alcuni nodi cruciali delle loro vite, dal quale emergeranno anche segreti mai detti, in una sorta di resa dei conti tra le illusioni coltivate nella gioventù e le disillusioni con le quali occorre convivere. Presentato in anteprima alla Mostra del cinema di Venezia, dove ha vinto il premio per il miglior film della sezione collaterale Giornate degli autori. Nell’incontro con il pubblico il regista ha raccontato di aver fatto girare agli attori le diverse scene senza interruzioni, come in teatro, per poi rimontare le varie parti, restituendo così al meglio l’unità di tempo del racconto. Il grande freddo cubano.
Tre cuori (3 coeurs), di Benoît Jacquot, Francia 2014
Marc lavora come ispettore delle imposte a Parigi. In una trasferta di lavoro nella provincia francese incontra Sylvie, che ha un negozio di antiquariato con la sorella maggiore Sophie. Un incontro causale di due solitudini, un possibile amore. Dopo aver passato la notte assieme si danno appuntamento a Parigi, ma per uno scherzo dello stesso destino che li ha fatti incontrare, non si ritrovano. Marc escogiterà uno stratagemma al lavoro per tornare nella cittadina di provincia e ricercare Sylvie, ma la sorte gli farà incontrare Sophie. In concorso a Venezia. Come tante nel suo genere, è una commedia francese piacevole e ben recitata (nel cast spiccano in particolare Benoît Poelvoorde e Charlotte Gainsbourg; le altre protagoniste femminili sono Catherine Deneuve e Chiara Mastroianni che, come nella vita, interpretano i ruoli della madre e della figlia), anche se la storia appare un poco macchinosa e non funziona fino in fondo.
Sul sito di Gagarin, nella sezione Cinema, trovate due speciali Telegrammi di celluloide con un’ampia panoramica dei film visti alla Mostra del Cinema di Venezia.