Poco prima di arrivare al cinema dobbiamo tapparci il naso, perché fuori c’è un gran puzza. E Margherita, che se lo ricorda, comincia a suggerire di chiudere il finestrino qualche chilometro prima, mentre siamo vicini ad un posto che sarebbe una location perfetta per un film di fantascienza. E io, tutte le volte che passo di lì, mi domando come facciano quei quattro residenti del luogo, a sopportare una cosa del genere.
Entriamo al cinema, facciamo i biglietti, ci sediamo in sala. Parte la pubblicità. Che comprende anche un paio di trailer di film d’animazione. Uno dei quali è la proiezione al cinema di due o tre puntate di una tripletta di serie d’animazione disney per la tv (tipo una certa dottoressa peluche, che Margherita guarda dai nonni). Un po’ come quando l’anno scorso fecero una decina di puntate di Peppa Pig su grande schermo. Un mistero. Al minuto quindici di pubblicità Margherita sbotta: ma quando finisce tutta questa pubblicità. Ce lo chiediamo anche sua mamma e io. Finalmente, ad un volume da concerto dei Napalm Death, partono i titoli della Universal. Dai dai dai.
Box Trolls. È un film espressionista, senza meno. Una grottesca rivoluzione di facce (distorte, significativamente modellate), di ambienti (che incombono circondati da ombre come in un crepuscolo infinito) e di situazioni: questi esseri animati, che vivono all’interno di una montagna a picco, su cui gli uomini hanno costruito un villaggio in cui le case sono addossate le une alle altre, rapiscono un bimbetto e lo crescono come se fosse uno di loro. Intanto una sorta di pifferaio magico assatanato di formaggi, cerca di dar loro la caccia per debellarli e conquistare, così, il diritto di sedere ad una esclusiva tavola di assaggi caseari. Si scoprirà poi che la cosa non è come sembra e sul finale le parti si ristabiliranno, concedendo finalmente un po’ di sole e pace sulla città.
Tutto estremamente bello, sebbene sia una visione da incubo. Ed è questo il problema: Box Trolls è un film pieno di immagini che i bimbi possono trovare difficili da leggere. Quando il disinfestatore mangia il formaggio gli si gonfia la faccia, così da costringere i suoi scherani a immergerlo in un barile di sanguisughe. Il padre del protagonista viene tenuto segregato in una buca piena di ingranaggi a testa in giù per 10 anni. C’è una cantante di tabarin che in realtà è un travestito. Le immagini sono liquide, distorte, contorte e deformi. Una gioia per gli occhi? Si, quelli abituati al disastro anatomico (c’è anche un richiamo al leggendario Mr. Creosote) e al delirio architettonico.
Insomma: Box Trolls è un piccolo capolavoro. Ma non un capolavoro per piccoli. A cui va venduto nel giusto modo. Altrimenti si rischia di creare l’illusione che l’unico immaginario giusto, o possibile, sia quello della dottoressa peluche: asettico e privo di spigoli.