Lucy, il film di Luc Besson: ritorna al cinema il mito del cervello usato solo al 10%

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Difficile trovare un titolo così evocativo, breve e in definitiva azzeccato come quello dell’ultimo film di Luc Besson: Lucy, solo quattro lettere, una sola in più del nome del regista. E soprattutto è il nome di uno dei nostri più antichi antenati, l’australopiteco ritrovato negli anni settanta in Africa, così chiamato perché al momento della scoperta gli scienziati stavano ascoltando la canzone dei Beatles Lucy in the Sky with Diamonds.

Lucy è insomma una delle più antiche antenate dell’umanità, ma nel film di Besson è in un certo senso il futuro della nostra specie. La protagonista, interpretata da un’ottima Scarlett Johansson, riesce, suo malgrado, ad essere il primo essere umano a riuscire a sfruttare il 100% del proprio potenziale cerebrale. Se avete visto il trailer del film (lo trovate più in basso nel post), avrete notato che ad un certo punto Morgan Freeman, nei panni di un neuroscienziato, afferma che «si ritiene che noi usiamo solo il 10% delle nostre capacità cerebrali, ma se ci fosse un modo per utilizzare il 100% del nostro cervello, cosa saremmo in grado di fare?». Scarlett Johansson (Lucy) diviene il primo test di questa teoria e, come si vedrà nel film, i risultati sono straordinari.

 

 

Luc Besson basa insomma il suo film su una sorta di falso mito della scienza (d’altra parte non è certo il primo regista che fa questo), ma purtroppo (o per fortuna) non usiamo solo il 10% del nostro cervello. Tuttavia, forse grazie anche a questo stesso film, questo mito sopravvivrà ancora a lungo. Lo scorso anno una indagine condotta dalla Michael J. Fox Foundation ha rivelato infatti che il 65% degli americani crede che questo mito sia vero, il 5% in più di coloro che credono nell’evoluzionismo. Si tratta in effetti di una ipotesi affascinante, facile da ricordare, molto adatta alle conversazioni e soprattutto dà una speranza: quella di poter “espandere la mente” e arrivare a nuovi livelli di consapevolezza. Ma se oggi questa credenza è così radicata, quali sono le sue origini?

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A quanto pare, l’equivoco è nato da una affermazione del filosofo e psicologo William James, che nel 1908 scrisse che “noi usiamo solo una piccola parte delle nostre risorse mentali e fisiche”. Per altri, invece, fu Einstein a spiegare i suoi incredibili risultati nella ricerca scientifica ricorrendo alla “teoria del 10%”, ma questa sua dichiarazione non è mai stata confermata. Quello che appare certo, invece, è che questa percentuale è stata completamente inventata.

Il mito del 10% è facilmente smontabile da più punti di vista. In primo luogo, il cervello è un organo che consuma molta energia, per cui sarebbe strano che l’evoluzione ci avesse dotato di un organo così dispendioso e allo stesso tempo poco usato. I neuroni del nostro cervello sono in realtà sempre attivi e le immagini che la ricerca scientifica ci ha restituito tramite risonanza magnetica funzionale, mostrano che in realtà certe aree del cervello possono risultare particolarmente attivate in base al compito che svolgiamo.

È ovvio, certe aree del cervello sono sempre attive, come quelle che controllano le funzioni vitali, mentre altre, preposte a funzioni superiori come il linguaggio, il ragionamento astratto e la strategia sono particolarmente attivate solo in certe situazioni. Abbiamo raccontato ad esempio la storia di un giovane italiano che, partendo da zero, è riuscito a partecipare alle World Series of Poker di Las Vegas.

Dal suo racconto dell’esperienza ai tavoli, si capisce come le aree del suo cervello dedicate al ragionamento astratto, ma anche al controllo delle emozioni fossero particolarmente attive.

Difficile pensare che, in situazioni come queste, solo il 10% della mente sia in azione e lo stesso vale anche per un altro giovane giocatore di poker, Bertrand Grospellier, in grado di giocare online, con successo, a decine di tavoli in contemporanea; il suo cervello particolarmente multitasking e strategico gli consente inoltre di essere un programmatore e campione di StarCraft. Grospellier conoscerà quindi probabilmente la storia di Lee Jae Dong, anch’egli programmatore e, forse, il più grande campione di sempre di StarCraft. Grospellier e Lee Jae Dong sono insomma due esempi poco noti di menti geniali, a quanto pare sfruttate ben oltre il 10%.

Insomma, le analisi finora condotte dimostrano che il nostro cervello è sempre in azione e che, in base al compito che stiamo eseguendo, certe aree si possono attivare maggiormente. Eppure, il mito del 10% è duro a morire e certamente sarà rafforzato dal probabile successo di Lucy. Da quanto emerge dalle critiche, pare infatti che Luc Besson abbia usato molto di più del 10% del suo cervello, per cui se il prossimo 25 settembre (data di uscita del film in Italia) non avete impegni, potrete impegnare la vostra mente nella visione del film al cinema.