Nel 2014 porti a compimento un intenso triennio di direzione. Il Festival è stato uno spazio di costruzione di sapere, oltre che di spettacoli?
Il Festival è un posto in cui fare esperienza, in cui sporgersi verso qualcosa che non si conosce, mettendosi in una posizione di disequilibrio. In questa edizione, in particolare, si compirà un’idea di Festival come luogo “del possibile”, di costruzione di pensiero e di discorso. Paradigmatici, in tal senso, il lavoro di Leonardo Delogu (che coinvolge anche il paesaggista francese Gilles Clément) e la Piattaforma della Danza Balinese.
Come hai scelto, in questi anni, cosa ospitare al Festival?
Posso partire, montalianamente, da come non abbiamo scelto: non abbiamo cercato lavori che “funzionassero”. Abbiamo provato a far crescere alcuni progetti e a farne nascere altri, supportando gli incroci fra artisti e discipline. C’è valore quando l’incontro tra chi dirige un Festival e gli artisti è un’occasione per sporgersi un po’ oltre se stessi. Anche rischiando: si lavora con qualcosa che ancora non c’è, cerchiamo di far esistere l’invisibile.
Molte proposte, quest’anno, incarneranno l’atto di prendere la parola.
Il Festival rimette al centro il fatto che il teatro, qualunque forma abbia e ovunque accada, sia un luogo da cui parlare. E in cui ascoltare. È molto rappresentativo il progetto L’Encyclopédie de la parole: in Suite n.1 “ABC” si mescoleranno frammenti di discorsi di Bill Clinton e Marinetti, canti sciamanici e spot pubblicitari, la voce di Antonin Artaud e quella di Sarah Bernhardt, il vociare di un bar e brani di South Park. Tutto trasformato in partitura vocale e orchestrato in forma di suite corale.
E le immagini della tigre?
Sono due disegni di Marco Smacchia. In uno è raffigurato il volto, lo sguardo, nell’altro l’animale a figura intera con attorno foglie tropicali e una bicicletta a terra. Ci interessano nella prima la potenza dello sguardo, nella seconda la creazione di uno spazio condiviso tra la tigre e qualcosa di dichiaratamente umano: un luogo sospeso in cui nessuno è veramente a casa, ma nel quale l’incontro è possibile.
Teatro, danza e ricerca visuale sono le discipline che Santarcangelo •14 indagherà con forza. Quali progetti sono radicalmente immersi dentro una di queste aree?
Pienamente teatrali saranno gli spettacoli di Danio Manfredini, Claudio Morganti e della compagnia cilena La Re-sentida, tra gli altri: proporranno una radicale domanda sull’attore. Tra i lavori “con entrambi i piedi dentro la danza” segnalo il solo di Marlene Monteiro Freitas e la ricerca complessiva di Michele Di Stefano, Cristina Rizzo e Fabrizio Favale. Sul fronte della ricerca visuale e degli interventi di arte pubblica vorrei ricordare Art you lost?: dopo il lavoro preparatorio dell’anno scorso, quest’anno sarà una grande installazione, fruibile per dieci giorni negli spazi della scuola elementare.
Quali ibridazioni, invece?
Mårten Spångberg con la prima assoluta di The Nature, parte di un progetto commissionato e coprodotto dal MoMA PS1 di New York, indagherà il rapporto tra coreografia e museo. In Boia di Ateliersi Fiorenza Menni trasformerà in partitura drammaturgica e vocale una quantità di scritte trovate sui muri di diverse città, opera di anonimi writers.
Qual è la più grande soddisfazione di questo tuo triennio di direzione?
La dimensione internazionale che siamo riusciti a dare al Festival. Quest’anno la si vedrà tutta, credo.
MICHELE PASCARELLA
11-20 luglio 2014 – Santarcangelo ● 14 – Festival Internazionale del Teatro in Piazza – Santarcangelo di Romagna (RN), luoghi vari – info: santarcangelofestival.com