Corpi diversi, vestiti quotidiani. Molti colori.
Onda vocale, sale e scende, ogni tanto dalla marea spunta una voce.
Comizi politici, segreteria telefonica con la data e l’ora di oggi, adesso. Qui e ora.
Un concerto zen. À la John Cage, appunto.
Giochi di parole nelle traduzioni in inglese e francese.
«Se l’arcivescovo di Costantinopoli si arcivescovocostantinopolizzasse…»
Il ritmo è tutto, direbbe Romeo Castellucci.
«I realize I don’t know my language at all»
Un condensatissimo corso di linguistica generale: Castellucci again.
Imagine mescolato alle istruzioni per cantarlo. Si chiamava strutturalismo?
Una predica biblica con le voci che arrivano come spintoni.
«That’s how easy love can be: A, B, C»
Maestria, per conquistare l’inutile. Werner Herzog apprezzerebbe.
LA sorpresa del Festival, finora. Di gran lunga.
BAROKTHEGREAT, Victory Smoke, <Hangar Bornaccino>, ore 22.30 (50’)
Cinque figure danzanti, due musicisti.
Tutine nere aderenti. Cappelli a cono scuri.
Stanno in ombra o al buio: visione ostacolata.
Nel buio si accende una lucina, come insetti le corrono incontro.
Movimenti lentissimi, musica minimale.
Passaggi in cerchio e/o in sincrono: insetti attorno a una lampadina. O dentro un rettangolo d’ombra, con la luce attorno.
Immobilità, buio, note tenute lunghe. Lunghissime.
Un assolo di Sonia Brunelli.
Nel silenzio, alla fine.
MICHELE PASCARELLA