Sabato 31 luglio 1960, stazione di servizio Shell di San Concordio, Lucca. Un biondino con la faccia d’angelo chiede al proprietario dove sia il bagno. Parla un italiano stentato e, vistosi non capito, comincia a ripetere nervosamente “Toilette! toilette!”.
Alla fine il figlio del proprietario accompagna lo straniero verso l’unico bagno, lasciandogli la chiave.
Un’ora dopo il biondino è ancora dentro. La sua auto, una alfa romeo, è ancora parcheggiata di fronte la bandiera della compagnia. E’ l’unica auto in quel giorno torrido d’estate, tutti sono al mare.
Quel biondino era Chet Baker.
Era arrivato in Europa da un po’, l’ostracismo per i suoi noti comportamenti estremi dovuti all’abuso di droga lo avevano convinto a lasciare gli Stati Uniti.
Prima Parigi, poi Roma e Milano, infine Lucca e la Versilia intera. Quell’estate aveva trovato un’ottima scrittura presso la Bussola, il noto locale nella spiaggia delle focette, il meglio che ci fosse per la musica in Italia. Il suo talento alla tromba e la sua voce dolce e vellutata lo resero subito l’attrazione principale.
Suonava spesso con Romano Mussolini, in trio.
I problemi di droga c’erano ancora. Difficile trovarla, però. Qualche volta gli toccava prendere un aereo per Monaco, riempire la valigia di Palfium 875 o Jetrium (analgesici che potevano sostituire l’eroina) e tornarsene in Italia per iniettarsi anche 40 volte al giorno.
Nei suoi traffici aveva coinvolto sua moglie, Halema Alli, e la sua nuova amante, la splendida ballerina Carol Jackson. A Monaco o in Svizzera, sempre pronte ad esaudire i desideri distorti di quell’uomo bellissimo, geniale, crudele con loro.
Chet aveva partecipato ad un film di Lucio Fulci, Urlatori alla sbarra, nella parte di se stesso: un musicista americano narcolettico per il troppo bere, che si accascia di continuo. Fulci gli aveva passato il necessario, morfina ed oppio.
Baker, sempre più bisognoso, andava su e giù per il litorale in cerca di dottori compiacenti, pronti a fargli una ricetta per quei medicinali semisconosciuti nell’ingenuità di quell’Italia bigotta. Ce la faceva sempre a convincerli con il carisma dei soldi.
Dopo aver bussato più volte senza aver avuto risposta, il proprietario chiamò la polizia di Lucca. Arrivato sul luogo, l’agente Neri Gugliermino si decise a sfondare la porta. Dentro Chet era accasciato sul pavimento. Non era riuscito a trovarsi una vena buona per l’ennesimo buco e aveva fatto un casino.
Venne preso, rilasciato, di nuovo arrestato per richiesta del pubblico ministero locale. “Il processo delle vipere” fece scandalo e si concluse con una condanna a un anno e sette mesi da passare nel carcere di San Giorgio, dentro le mura di Lucca. Durante il dibattimento Chet sputtanò ogni dottore, ogni compagno di buco. Lui era fatto così; anche Halema finì dietro le sbarre.
Chet era famoso, ora lo era ancora di più. Il figlio del direttore del carcere era un fan del jazz e convinse suo padre a fargli avere un permesso speciale: poteva suonare due ore al giorno. La prigione, in fondo, gli stava facendo bene. Si metteva tutti i giorni alla stessa ora vicino alle grate della sua cella e cominciava i suoi esercizi. Una piccola folla, ogni giorno, si radunava sotto quelle finestre per poter sentire quel concerto improvvisato, quelle note spinte fuori le mura dal vento di maestrale. Gli altri detenuti lo adoravano, ansiosi per quelle due ore di magia.
Gli venne concessa una riduzione di pena e poté uscire in tempo per passare il natale con Carol. Halema, tradita e ferita, era già andata via con il loro figlio. Baker tornò a vivere il suo lento e mitico declino. In Italia, nonostante quei giorni, tornerà sempre volentieri.