E’ la stampa, bellezza!

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Luis Sepulveda

 

Luis Sepulveda
Luis Sepulveda

Il cielo grigio satura lo spazio circostante il Palazzo Congressi di Ravenna mentre la temperatura dei gradi fahrenheit minuto dopo minuto abbassa le aspettative di combustione. Oggi i libri hanno una temperatura corporea di 36,5 gradi e i corpi si affollano accanto alle parole. E’ il giorno di apertura del festival Scrittura Festival che vede ospite lo scrittore sudamericano Luis Sepulveda atteso come un messia nel capoluogo romagnolo. Sono tra i giornalisti che intervisteranno Sepulveda mentre al mio fianco alla spicciolata arrivano telecamere, microfoni e taillers degni di una sfilata di moda. “E’ la stampa, bellezza”, mormorava fagocitando consonanti in bianco e nero Humprey Bogart, una gran parata di convenuti per appiccicare parole strappate da appendere in podcast in altro luogo. Un rondò veneziano che lentamente ci conduce in una piccola stanzetta della biblioteca attigua, una sala d’aspetto tra manuali di storia, non avrei potuto immaginare posto migliore.

Sepulveda è atteso per le sei del pomeriggio. Ho con me dodici domande, l’intervista del secolo, quella con la quale sarò consegnato alla storia a fianco di Contini, Eco e Debenedetti, ometterei volentieri di essere riconosciuto nella foto di gruppo come vicino di gomito di D’Orrico.

I vetri infranti del mio sogno ingenuo hanno le sembianze di una donna bionda sulla cinquantina con le labbra sottili e gli occhi che brillano come una lama al sole. E’ l’agente che segue Sepulveda, che coordina le sue azioni e relazioni con il mondo dentro il mondo della comunicazione: solo una domanda. Questo dice capellibiondi. Ho qualche secondo per scegliere visto che il mio turno sarà il terzo. Chiedo aiuto agli dei. Sono tutti impegnati al telefono. Telefonate intercontinentali con uno scatto fisso alla risposta non proprio economico, la segreteria telefonica è composta da un pezzo dei Los Lobos. Nell’ordine chiamo Borges, Bolano, Wilcock e Saramago.

Conosco il Sudamerica solo dai libri. Per me non esiste di fatto. E’ uno stato mentale: il brasile di Baden Powell e la sua chitarra saudade, l’Argentina degli spettri felini persi nella biblioteca di Babele di Borges e l’eroina marcia, intrisa di detective selvaggi nel Cile di Bolano. Il tempo stringe. Non sono mai stato un fan di Sepulveda. Di lui mi piacciono i racconti di viaggio, cose come Patagonia Express o Diario di un killer sentimentale dove il realismo manierista noir prende sembianze quasi oniriche. Non sono per le favole o i romanzi. Il suo ultimo libro si intitola Un’idea di felicità, un saggio narrativo scritto a quattro mani con Carlo Petrini di Slow Food pubblicato da Guanda edizioni. Un dialogo tra due amici che si confronta sul bisogno del ritorno alla lentezza, su come aspirare ad una vita propensa alla ricerca della felicità. Un libro prezioso che mi ha costretto ad oltrepassare i miei endemici pregiudizi su qualsiasi romanzo che contenga nel titolo la parola felicità. Nel frattempo appare lo scrittore in carne ed ossa e l’emozione diventa crampi che interessano lo stomaco e le articolazioni inferiori.

E’ un uomo con una corporatura massiccia, sul metro e ottanta, i capelli lisci nero corvino gli colano sulla fronte spaziosa, la bocca incorniciata da una leggera barba. Gli occhi sono dannatamente seri. Capisci subito che hai a che fare con uno con il quale su certe cose non c’è proprio da scherzare. Il collega che apre le danze gli rivolge una domanda su cosa gli abbia insegnato la sua carriera di scrittore; lui risponde: “La vera lezione è conservare un amore per la vita, fare tutto quello che mi sembra giusto nel momento preciso, non aspettare, sì…un grande amore per la vita”. Poi si passa al tema della paura, ricorrente nei suoi romanzi sotto varie forme, cosa fare quando la paura ci trova? “La paura è un meccanismo di difesa naturale, l’unico modo di affrontarla è combatterla”, risponde Sepulveda.

E’ il mio turno. Attendo il momento di vergogna, l’esposizione al pubblico ludibrio simile alle interrogazioni di Algebra con la professoressa Villani. “Allora…nel suo compito non c’era la risoluzione di nessuna espressione, solo una lunga analisi dell’esistenzialismo in Sartre, perché si ostina a non studiare la mia materia e scrivere temi umanistici”? E io che rispondevo con inguaribile schiettezza: “Non ho niente contro di lei prof., il problema è che dell’algebra non me ne frega nulla, penso invece che La Nausea mi cambierà la vita, tutto qui”.

Dopo tanti anni rischio di ripetere la scena di fronte alle telecamere. In mondovisione il fallimento. Il mio deus ex machina si chiama Saramago. E’ lui a ricordarmi la differenza tra il vivere e l’abitare. Una riflessione sullo spostamento, lo spaesamento del reale in relazione alla nostra anima. Metto giù il telefono quindi dopo qualche costosissimo secondo in comunicazione con Saramago dall’aldilà, riprende la musica dei Los Lobos poi la linea cade. Chiedo allora a Sepulveda qual è il suo luogo della memoria. Lui risponde dopo qualche attimo: “Un luogo enorme dove sta la memoria della mia infanzia, con la partecipazione sociale e l’esperienza della vita, in tutto il senso della parola, politica, sentimentale e non solo. In questo prende forma una sorta di territorio sentimentale, una geografia sentimentale di una vita che da questo territorio si proietta”. Ok, mi dico sono andato bene, almeno questa volta ho parlato mentre le parole sfuggono verso l’isola di Lanzarote. L’intervista continua tra rapide estasi di silenzio e domande più o meno banali. Poi i click dei fotografi esasperano l’aria resa bianca dai neon dei flash mentre la domanda, quella con la “D” maiuscola, quella che io non avrei mai fatto: “Che cos’è per lei la felicità?”, fortunatamente non sono stato io l’esecutore materiale del delitto ai danni dello scrittore cileno che nel frattempo assume sembianze mercuriali di guru, un oracolo pronto a rispondere ai grandi quesiti dell’uomo. Sepulveda ora ha la barba folta e i capelli ricci color cenere, un incrocio tra Platone, Marx e uno dei Tupamaros. Risponde raccontando la felicità che prova alla mattina guardandosi allo specchio, il viso di un uomo che sta bene con se stesso, in pace con la propria vita.

Intanto la sala dove si terrà la conferenza è gremita. Ci sono piramidi umane di persone di tutte le età. Pino Cacucci, grande amico di Sepulveda e scrittore di quel sud a nord della felicità a cui entrambi aspirano, abbraccia Luis e insieme incontrano il pubblico che attende il grande autore de Il vecchio che leggeva romanzi d’amore. Un elogio alla lentezza, il senso dell’amicizia, la generosità, la giustizia e la volontà di non arrendersi mai. I ricordi della grande amicizia con il poeta romagnolo Tonino Guerra si intersecano alla vita e alla generosità, alla stima che ha legato i due che condividevano un grande amore per la vita.

Un idea di felicità (come il titolo del suo libro) che provo anche io nell’osservare l’entusiasmo di questo grande scrittore di fronte a tutta questa gente che ancora crede nel potere magico della letteratura, un territorio dove i sogni corrono liberi e le parole sono farfalle bellissime, non più falene. Poco prima di lasciare la sala mentre la conferenza sta per finire, tra le prime file si alza una signora minuta con i capelli bianchi e lo sguardo diabolico. Inutile dirvi che è proprio la Villani, la mia ex professoressa di Algebra.

Raggiungo l’uscita prima che il passato mi aggredisca con violenza.

Non ho mai imparato l’Algebra ma in compenso oggi con Sepulveda ho qualche formula in tasca che mi aiuterà contro la matematica propensione al male del mondo.

Fino al 25 maggio, Ravenna, Scrittura Festival, Palazzo dei Congressi, largo Firenze 1 e Piazza dell’Unità, ore 18.30,  Info: scritturafestival.com