Si è da poco conclusa a Ravenna la quindicesima edizione dei Corti da Sogni con uno straordinario riscontro di pubblico e di critica: sono state più di 2500 le presenze registrate nell’arco delle quattro giornate della manifestazione che quest’anno ha visto la partecipazione di numerosi registi e attori stranieri.
Tra tutti i corti in programma, Mind the Gap, realizzato dalla regista e attrice israeliana Tom Darom, arriva al cuore come un colpo ben assestato di cerbottana e con la grazia di un germoglio.
Veloce, furtivo, arrivederci e grazie.
Due vecchi amici si incontrano per sbaglio sui binari opposti di una stazione ferroviaria, resistono a stento alla tentazione di attraversare il “gap” che li separa, giusto il tempo di essere divisi nuovamente dalle lamiere dei due treni in arrivo.
Tom è una figura costante della manifestazione, è onnipresente e colpisce tutti gli astanti con la sua grazia. Ha un viso rotondo e allo stesso tempo spigoloso, capelli neri che piovono riccioli sul corpicino scarno e ossa iperdecorato da un vestito a fiori, non parla con nessuno, schiva la folla del Teatro Rasi, e ha lo sguardo stranamente cinico e ironico. Sento di volergli bene.
Proprio come in un racconto di Pinketts la sua vita non è esente da liguori, colpi di scena e facezie da avanspettacolo.
Cresciuta a Gerusalemme, nel 2011 viene ingaggiata da alcuni investigatori privati israeliani tra i quali Amit Forlit, già noto per il caso Ablyazov, per condurre indagini sotto copertura dentro alcuni locali notturni di Tel Aviv. Come afferma un articolo del 18 luglio 2013 del Corriere della Sera, una delle missioni alle quali era stata assegnata, prevedeva di presentarsi come una ricca benefattrice a Dudi Zilbershlag, giornalista, religioso ultraortodosso e fondatore della Mifal Chaim-Panim, organizzazione che aiuta le famiglie povere tra gli Haredim, con lo scopo di sedurlo e ottenere foto compromettenti.
Dopo una serie di incontri, la Darom invita Dudi Zilbershlag in una stanza d’hotel a Telaviv e gli propone di spogliarsi per potergli massaggiare la schiena.
«Quando mi hanno reclutata per la missione, mi avevano convinto che fosse importante smascherare Zilbershlag: i detective hanno insinuato che fosse corrotto e che molestasse le donne. Non sapevo ci fossero le telecamere nascoste e che tutto venisse filmato»
Uno dei grandi vantaggi di scrivere questi reportage psichedelici che nulla c’entrano con la critica cinematografica è che ci si può concentrare su situazioni estreme che riguardano i personaggi di cui si parla e ne che rivelano l’umanità.
Sono stata educata cattolicamente ma non sono una cattolica in senso osservante. Credo in Dio, in un’entità che è dentro di noi o fuori di noi. Credo in una forza misteriosa più grande dell’individuo, ma non è da escludere che l’individuo sia altrettanto grande come quella forza.
Tom Darom in questo senso vince il premio della giuria costituita dal tribunale interiore dell’io.
Il suo cortometraggio crea una tensione abnorme nel pubblico in sala, attraverso una storia semplice e comune ma dominata da circostanze eccezionali.
La nostra adolescenza è ovunque, la mettiamo a tacere quasi ogni giorno quando la sveglia suona e con gli occhi sbarrati ci ritroviamo davanti all’ennesima stella del mattino già in ansia, di corsa verso quegli obiettivi per i quali abbiamo sacrificato anche i nostri stessi desideri, e vaghi e fusi nel percorso dell’orizzonte presente ci infiliamo la faccia di persone normali che aspettano, catalettiche e distratte, ad una fermata del metrò.
Nella bramosa inconsistenza della grande promessa della vita ogni tanto però accadono degli intoppi dai quali possono derivare conseguenze straordinarie, inversioni di rotta improvvise.
Fatti che ogni tanto ci impongono di controllare le vie di fuga, verificare se è tutto a posto nel piano b.
Tom con Mind the Gap mostra le cosce per sadismo morale e senso estetico, butta il sudario e con le braccia conserte ed espressione d’intesa ci catapulta in un passaggio che viaggia più forte di un treno merci: lontano dalla vita fatta di tragiche routine, prima che tutta la nostra forza diventi solo cibo per vermi.
ANTONELLA GARRO
Visto il 16 maggio al Teatro Rasi di Ravenna